E' diventato una celebrità in Argentina, dal momento in cui - durante la partita vinta contro la Sampdoria - si è visto sul suo braccio un tatuaggio con lo stemma del Boca Juniors. Fabio Pisacane racconta questa passione ai microfoni di Tuttosport: "Quello che mi sta capitando da lunedì sera è difficile da spiegare. Io da bambino ero sicuro che avrei fatto il calciatore professionista, me lo sentivo. E pensavo: “Non posso diventare tifoso di una squadra italiana. Non posso perché sennò come farò quando dovrò affrontarla?”. Scelsi il Boca Juniors, senza esitare. A casa ho la numero 10 di Carlitos Tevez dell’anno scorso, la tengo come una reliquia. Alla Bombonera non sono ancora stato: è un’esperienza che voglio fare con mio figlio Andrea di un anno e mezzo e con quello che sta per nascere. Sarei felice che diventassero Xeneizes come me. Che cosa è il Boca? Il club mas grande del mundo, el rey de copas, un sentimiento que no puedo parar, un sentimento che non posso fermare".

IL RACCONTO DELLA MALATTIA - Il difensore del Cagliari nella propria vita ha passato momenti durissimi: da giovanissimo fu colpito dalla sindrome di Guillain-Barré, malattia che paralizza dalla testa ai piedi: "Provai a togliermi il pigiama ma le braccia non ne volevano sapere di rispondere. Non mi reggevo in piedi, barcollavo e, sensazione ancor più spiacevole, nessuno aveva la minima idea di che cosa potesse essere. Finii in coma e ci rimasi 20 giorni, quindi passai 3 mesi in ospedale. Questa malattia può attaccare tutto, anche i nervi ottici e farti diventare cieco: su di me si accanì ai polmoni. Al calcio non pensavo più. Pensavo solo a sopravvivere. Nella battaglia contro il male mi ha aiutato papà: una roccia. Fortunatamente riuscii a superare la malattia e iniziai la riabilitazione".