Arrigo Sacchi, ex tecnico del Milan grande avversario del Napoli di Maradona, ha parlato nel corso di un'intervista concessa al Corriere dello Sport. L'ex allenatore ha parlato tanto del suo rapporto con Diego svelando tanti retroscena.

Intervista a Sacchi su Maradona

Primo pensiero?

«Ho pensato che non fosse vera. Ci ho sperato. Ero davanti alla tv: mi sembrava impossibile. Ma subito dopo sono cominciate ad arrivare le telefonate».

Milan e Maradona?

«Prima di tutto un amico. Ovunque capitasse di incontrarci, fosse a Milano Marittima per una cena a base di calcio, oppure ai Mondiali del Sudafrica o a quelli in Brasile, era sempre una festa. Per gli amanti del pallone Maradona è stato tutto. Era il Picasso del calcio. Uno straordinario interprete di questo sport. Con un gesto era capace di rendere bellissima anche una partita insulsa. Ed è stato un grande avversario, mai un nemico».

Avversari?

«Le racconto un episodio. Io ho avuto un’unica possibilità di allenare Maradona. Accadde nel 1988, dopo la vittoria in campionato, quando venni incaricato di selezionare una rappresentativa della Lega di Serie A per giocare una sfida contro la Polonia, a San Siro, e convocai tra gli altri anche Maradona (con lui c’erano pure Galli, Matthäus, Tassotti, Manfredonia, Careca, Virdis, Caniggia: n.d.r.). “Vengo solo perché c’è Arrigo”, disse lui. Prima della partita mi chiese di giocare soltanto un tempo, dicendo che si sentiva un po’ stanco... Nel primo stavamo perdendo e riuscimmo a pareggiare solo poco prima dell’intervallo. Così Diego venne da me e mi disse: “Se vuole, gioco anche il secondo tempo...”. E infatti rimase in campo fino alla fine e segnò il gol che ci consentì di pareggiare 2-2, oltre a prendere un palo».

Andare a Napoli?

«Mi telefonò e mi chiese di andare al Napoli. “Mister, con me e con Careca partirai sempre con un gol di vantaggio...”. “E se tu ti infortuni?”, gli risposi. In realtà mi ero già impegnato con la Nazionale e inoltre non riuscivo più a gestire la pressione di un impegno dietro l’altro. Però mi fece piacere questo suo desiderio di avermi con lui. Siamo stati amici per tutta la vita, ora lo saremo ancora di più».

C’è un’enorme ammirazione nelle sue parole...

«Gli amanti del calcio lo ricorderanno sempre con piacere: Diego ti stupiva, ti esaltava. La prima volta che ci giocai contro, col Milan a San Siro, loro nei primi dieci minuti non erano riusciti nemmeno a passare la metà campo, il nostro era un dominio assoluto. Ma a un certo punto lo vidi nel lato opposto scartare un paio di giocatori e dare un assist a Careca, che si ritrovò solo davanti al portiere e segnò il gol dell’1-0 per il Napoli. Mi girai verso la mia panchina ed esclamai: “Così non vale, abbiamo giocato solo noi!”. Un’altra volta ricordo che eravamo stati padroni del campo per tutto il primo tempo, tanto che alla fine la gente ci aveva applaudito nonostante il risultato fosse ancora sullo 0-0. Nello spogliatoio guardai negli occhi i miei giocatori e gli dissi: “Ragazzi, qui o ci decidiamo a segnare oppure il gol ce lo fa lui...”. Giocare contro Diego significava avere perennemente una spada di Damocle sopra il capo. Ricordo ancora quel pallonetto di testa a Giovanni Galli in uscita, realizzato da fuori area: incredibile... Conservo gelosamente un pallone firmato da lui, Pelé e Di Stefano. In quel periodo ero al Real Madrid e Butragueño, che è stato un signor giocatore, mi chiese se volevo che aggiungesse anche il suo di autografo. “No Emilio - gli dissi - per te ho un altro pallone...”».

 

Sacchi (Getty)
Sacchi (Getty)