Le sirene di calciomercato, dopo un avvio di stagione esaltante, erano inevitabili. Poi qualche acciacco fisico di troppo, il rilancio di Matri, e qualche panchina. Un mini-ciclo nero che s'è concluso lo scorso fine settimana, con la doppietta rifilata all'Udinese che lo ha riportato in alto, nelle gerarchie di Di Francesco, che ancora deve scegliere chi schierare contro il Milan. Dalla sua, intanto, Gregoire Defrel non vede l'ora di tornare ai livelli di inizio campionato. Ne ha parlato lo stesso bomber neroverde a Repubblica, concentrandosi però sugli inizi, non facili, della sua carriera.
L'ESULTANZA CON LE PISTOLE - "La inventarono i miei amici di Parigi, che vengono spesso a trovarmi. Sono figlio unico, i miei fratelli sono loro: giochiamo al far west. La faccio meno spesso da quando sono stato criticato, dicono che non sarei di buon esempio per i bambini”.
GLI INIZI DI CARRIERA - "Ho iniziato giocando in strada a Chatillon, su un campo di sabbia a due minuti da casa. Facevo il campionato dei quartieri: il mio amico Doukara (ex Vibonese, Catania e Juve Stabia, n.d.r.), che ha giocato in Italia e ora è al Leeds, parlò di me al suo procuratore Malick Ba. Malick oggi non c’è più, è stato il mio primo agente. Mi propose un provino in Italia con altri cinque ragazzi, ma io non volevo andarci: a casa mi sentivo già un campione, avevo tutto. Mi convinse mio padre. Presi una borsa e poche cose, dissi a tutti che sarei tornato dopo tre giorni, ne ero convinto. Il Monza, in Lega Pro, prese Chemali e mi scartò. Il Parma neanche voleva farmi fare il provino. Pesavo 85 chili, ero impresentabile. Giocai una partitella d’estate con 40 gradi, dopo cinque minuti chiesi il cambio, ero scoppiato. Ma il responsabile del vivaio, Francesco Palmieri, che poi avrei ritrovato qui al Sassuolo, aveva notato un paio di giocate nell’uno contro uno: mi chiese di restare e ovviamente mi mise a dieta. Intanto i compagni mi prestavano i vestiti, non parlavo una parola d’italiano, non avevo il computer, niente, aspettavo che mio padre mi portasse una valigia. Il primo anno guadagnavo 250 euro al mese più vitto e alloggio. Il secondo, 800, e alla fine Colomba mi fece debuttare in A, a Cagliari. A Foggia, invece, ero in prestito: ricordo che una volta non arrivavano gli stipendi e la piazza contestava. Volevo tornare a casa, non era la vita che volevo. Però ho tenuto duro e arrivò il Cesena. Il Sassuolo, poi, è stata la migliore scelta che potessi fare”.
UNA DIETA SBILANCIATA – “Vero, ma non era colpa mia. Il problema era che ero abituato a mangiare di tutto dopo gli allenamenti, nessuno mi aveva insegnato l’importanza dell’alimentazione per un calciatore. Un giorno, a Cesena, Bisoli, che aveva capito tutto, mi chiese: ‘Defrel, cosa mangi di solito?’. E io: ‘Tortelli, pollo al curry, salse’. Lo spogliatoio scoppiò a ridere. Da allora, pasta in bianco e bresaola”.
IDOLI E RIVALI - "Il difensore più duro da affrontare? Chiellini è uno molto tosto. Il mio idolo? Trezeguet. Ho fatto tanti ruoli, anche l’esterno, ma sono una seconda punta".