Ne parla, esattamente, tre volte. Come se Antonio Percassi fosse il filo conduttore di una chiacchierata di circa 30’ tra ricordi (bellissimi) ed esaltazione – calcisticamente parlando - del momento. All’inizio, dicendo che «mi ha cambiato la vita». Poi nell’elogiare «una squadra super con i suoi valori» e verso la fine: «Se vivo bene, lo devo all’Atalanta». E quindi, al patron. Fu lui a portare in Italia, nel 1992, Paolo Montero. All’epoca un ragazzo di 20 anni, oggi mister della Sambenedettese. In mezzo, gli anni vincenti di Torino. Anche se non c’è da essere così tanto sicuri che sia più legato ai bianconeri: «Di me si parla solo in ottica Juventus, ma chi mise la faccia per me?». La Dea del Pres, appunto, dal 2016 guidata da chi conosce da tempo: «Lo apprezzai molto quando era con la Primavera».

Gasperini è un modello?

«Assolutamente. In quattro stagioni a Zingonia ha sorpreso tutti, certi risultati sono strameritati. E c’è una cosa che, in particolare, mi colpisce».

Quasi certamente, il gioco.

«Sì, ma nella sconfitta: l’Atalanta può anche non vincere, ma non si snatura. Tutte le squadre perdono, ma quante restando fedeli al proprio credo? Lui ti guarda negli occhi. E poi, che ritmo... Gasp è forte».

All’inizio, Percassi pensò di esonerarlo.

«Ma Antonio è un vincente, ha gli attributi. C’erano dei problemi? Li risolveva “affrontando” i leader, non i giovani. Lo definirei un “coraggioso”. E non dimentico Ivan Ruggeri, presidente dal mio terzo anno: era un uomo straordinario».

A livello personale, cosa non funzionò?

«Peccato per la retrocessione nel 1994: Guidolin se la prese con alcuni giocatori, a suo dire colpevoli di remargli contro. Tra loro, c’era il sottoscritto. Le chiedo: come fa un 22enne a volere il “male” dell’allenatore? Ma dai... Ero arrivato senza una lira e puntavo a sfondare. Non ho mai compreso quelle dichiarazioni e i tifosi mi criticarono. A loro dico: il miglior Montero si è visto con voi, non a Torino».

Per il resto?

«Tutto splendido. E il pubblico è unico: nelle piazze medio-piccole si tifa la squadra locale e una tra Juve, Milan e Inter. Lì c’è solo la Dea. Ed è bellissimo».

Idem il presente.

«Che rispecchia i valori di Percassi. Ai miei tempi, se mi avessero detto che oggi avrebbero raggiunto questo “status”, non ci avrei creduto. Il cuore mi avrebbe detto di farlo, non la ragione. E non è finita...».

Questione di... Champions?

«Ecco, perché non potrebbero arrivare in semifinale? Otto gol al Valencia in 180’, pazzesco. Parlare di fortuna non esiste».

Dei tre là davanti, che dice?

«Gomez, Ilicic e Zapata si completano. Nessuno è una “prima donna”, si cercano sempre per il bene del gruppo. Formano uno degli attacchi migliori in assoluto, sfidarli è durissima».

Per un difensore, è difficile affermarsi in questa squadra?

«Abbastanza, ma se passi l’esame fai il salto di qualità: si gioca uomo su uomo e spesso ti ritrovi da solo contro la punta. L’Atalanta è da Liga spagnola, devi osare: se entri nei meccanismi e dimostri di poterci stare, diventi più forte degli altri».

Come lei, anche Caldara è passato alla Juventus.

«Se vai in bicicletta e smetti di usarla per un po’, disimpari? Mattia è forte, poi conta anche la fortuna: può essere decisiva, nel suo caso lo è stata in negativo. Una volta ritrovate fiducia e continuità, tornerà al top».

Montero sogna Zingonia?

«Ho totale rispetto per il Gasp e oggi penso alla Sambenedettese, ma chissà che un domani... Il club è nel mio cuore».

Il suo saluto per la città.

«Ho amato i bergamaschi perché lottano, sono indistruttibili. Possono lavorare 20 ore al giorno e non si lamentano. Sono un esempio, lo dico anche ai miei ragazzi. Se oggi vivo bene è grazie all’Atalanta e a Bergamo: come dicono loro, “mola mia”».