Andrà stasera in onda alle 21:20 su Italia 1 "Open Space". Durante il programma di approfondimento mediaset, verrà intervistato Carlo Gervasoni, l' ex calciatore italiano radiato per calcioscommesse dopo lo scandalo del 2011. Per lui il procuratore federale Palazzi ha chiesto e ottenuto 5 anni di squalifica: in combutta con 'lo zingaro' Ilievski, è accusato di aver combinato diverse partite. Qualche mese fa da Cremona è arrivata per lui l’accusa di associazione a delinquere. Questi alcuni dei tratti salienti dell'interessante intervista. 

 

I COINVOLTI - "Era più facile convincere gli italiani che gli stranieri, ne avrò contattati una sessantina. Di loro solo due hanno detto no, un italiano e uno straniero. Gli italiani si ponevano problemi all’inizio, poi quando avevano la mazzetta in mano ancor prima della gara, era tutto più facile. Ho truccato una dozzina di partite dove ero io in campo, poi ho cercato di combinarne altre dove non giocavo. Se si ha il portiere si parte avvantaggiati, poi se hai l’attaccante e un difensore è molto più facile".

 

I MOTIVI - "Ovviamente l'ho fatto per soldi, in campo recitavo per non insospettire compagni e allenatore. Eppure facevo un lavoro in cui guadagnavo bene, anche 15mila euro al mese. Ho giocato un anno senza prendere lo stipendio, ma questa non è una scusante".

 

GLI INIZI - "Il primo contatto è stato una sorta di corteggiamento, siamo andati a cena 4-5 volte, e lì ci hanno fatto capire fondamentalmente quello che dovevamo fare. Si scommetteva su piattaforme asiatiche, così da evitare il tracciamento. La prima volta ci hanno dato 100mila euro da spartire tra di noi. La prima volta la proposi a un buon numero di giocatori, 6 o 7. Si trattava di Albinoleffe-Pisa, nel febbraio 2009". 

 

I CONTATTI - "Il clan era molto organizzato, ogni 20-30 giorni mi cambiavano la SIM del telefono che usavamo solamente per dirci “ci sono”, poi principalmente ci sentivamo su Skype".

 

I SENTIMENTI - "Mi sono sentito una merda, fingevo anche con i miei compagni perché a volte ho giocato anche contro la mia squadra. Poi ho deciso di parlare per togliermi un peso, troppo difficile da tenere dentro. E poi ormai mi avevano beccato con le intercettazioni e avevo paura di fare il carcere.. Sono sincero, però: se non mi avessero beccato sarei andato avanti".

  

IL CASO DONI - "In Atalanta-Piacenza del 2010 non ero l’unico a sapere della combine. Durante il giro di ricognizione del campo Doni mi chiese se era tutto ok: lì capii subito che era riferito al fatto che si trattava della combine. Inizialmente dovevamo perdere con due gol di scarto e poi con un over. Il problema era che loro, anche essendo più forti, non riuscivano a segnare. Per fortuna un mio compagno, non coinvolto della combine, con un intervento grossolano procurò un rigore. Però dovevamo subire un altro gol. Ero terrorizzato: ho dovuto creare uno scontro di gioco che portò al rigore. Poi protestai con l’arbitro per non dare l'impressione di averlo fatto apposta. Dell’Atalanta quel giorno non so i coinvolti, ma so di Doni perché è venuto prima della partita".

 

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