L'Atalanta si giocherà tutto al Mestalla. All'andata, la Dea si è imposta per 4-1 a San Siro. I giochi però, guardando i numeri del Valencia, non sono ancora chiusi. Lo sa bene Amedeo Carboni che per nove anni ha indossato la maglia del club spagnolo, città nella quale ha vissuto per una ventina d’anni. Ecco le sue dichiarazioni rilasciate alla Gazzetta dello Sport in vista della sfida di ritorno degli ottavi di Champions League:

Iniziamo dalla partita di San Siro.

«Strana. Risultato nettamente a favore dell’Atalanta, ma una partita che poteva tranquillamente finire 6-4 o 5-3 perché il Valencia ha avuto le sue belle occasioni e non le ha trasformate, mentre l’Atalanta ha sfruttato quasi tutto ciò che ha creato. Risultato negativo per il Valencia e chiaramente a favore dell’Atalanta ma che fotografa in maniera non assolutamente precisa quella che è stata la partita».

E il ritorno?

«L’assenza del pubblico è molto molto importante. Io ho sempre pensato che il Valencia all’Atalanta tre gol glieli avrebbe fatti, aggiungendo però che non so quanti ne prenderà. Per me è questa la chiave della sfida, e il problema per il Valencia: una squadra sicuramente in grado di fare tre reti all’Atalanta, ma allo stesso modo poco impermeabile in difesa. E ora senza pubblico sarà ancor più difficile per il Valencia: si perdono tantissimi stimoli, le sensazioni non sono le stesse, l’atmosfera cambia completamente. E la cosa è ancor più vera quando la squadra di casa è chiamata a una rimonta di queste dimensioni».

E Mestalla pesa tanto in questo senso. È uno stadio molto presente, capace di segnare, in positivo e in negativo quando perde la pazienza, le sorti del Valencia.

«Senz’altro. È verissimo. Questo non è un Valencia di vecchi marpioni, è una squadra con esperienza relativa e chiamata a un’impresa per passare il turno, la spinta di Mestalla avrebbe fatto loro molto comodo, avrebbe giocato un ruolo importante. Per quello pensavo che avrebbero fatto tre gol. Poi magari ne avrebbero presi due, ma ora senza pubblico non sono più tanto sicuro della prima cosa. L’Atalanta era già favorita dopo il risultato dell’andata, al Valencia lasciavo qualcosa solo nell’ambito della speranza, ora lo è ancora di più. È un peccato perché avremmo visto una bellissima partita, ma questa sensazione di dispiacere dura un attimo, perché di fronte all’emergenza sanitaria che stiamo vivendo le nostre aspirazioni o sensazioni rispetto al calcio passano in un secondo piano. Stiamo attraversando una situazione di grande pericolo e bisogna adeguarsi, non c’è altro da dire».

Amedeo Carboni in un contrasto con Didier Drogba (Getty Images)

 La difesa del Valencia con l’assenza di Garay e Gabriel Paulista e l’acciacco di Mangala è tutta da inventare.

«Sì, e i risultati recenti hanno evidenziato questo problema: il Valencia ha preso tre gol dal Getafe e dalla Real Sociedad, quattro dall’Atalanta, due dall’Atletico. Giusto nelle ultime due uscite con Betis e Alaves, che non sono esattamente due squadroni, hanno limitato la cosa prendendo un solo gol e facendo risultato. È chiaro che difensivamente il Valencia ha un problema. Se a questo aggiungi lo stile dell’Atalanta, il suo gioco offensivo, il suo grande pressing, la sua incredibile capacità di portare qualsiasi giocatore in zona gol, ecco disegnata una situazione che per il Valencia è di evidente rischio».

Sorpreso dall’Atalanta?

«Non più. Potevo esserlo anni fa, ma ora con la continuità di Gasperini non si può più essere sorpresi. Bisogna dargli grandi meriti per come lavora con i giovani. Ha trovato un ottimo ambiente, una società che punta anche su ragazzi di prospettiva a lui è stato bravo a plasmarli. La cosa che più mi piace è la libertà che lascia ai giocatori in fase offensiva: tutti liberi di andare nell’area avversaria senza doversi preoccupare di coprire o di lasciare eventuali spazi alle spalle. Resta da vedere qual è il tetto per questa squadra: penso che passerà il turno arrivando ai quarti, qualcosa di miracoloso. E da li tutto è possibile».

Ha letto le dichiarazioni di Andrea Agnelli sull’Atalanta e la Champions?

«Sì. Se parliamo di business si può capire, se parliamo di sport è inaccettabile. E va dato il giusto premio economico a chi lavora bene, è una questione di meritocrazia».