Uscire dai pali, entrare nel «business». Doni lo chiama così: «Mi sono trasferito a Orlando da qualche anno, negli Stati Uniti. Ho una società di costruzioni, sta andando molto bene. Il prossimo obiettivo è mettere su altre duemila case entro il 2021».

La sua seconda vita richiama la prima: il nome dell’azienda è «D32 invest», come il numero che indossava tra i pali. Perché Alexander Marangon - per tutti Doni, oggi 40enne - è stato il portiere della Roma per sei anni, 200 presenze dal 2005 al 2011. «Momenti unici, indimenticabili», che proprio l'ex estremo difensore giallorosso ha raccontato alla Gazzetta dello Sport. Ecco le sue dichiarazioni:

La disperazione di Doni dopo un gol subito (Getty Images)

Verso la Roma si percepisce da parte sua una riconoscenza infinita.

«Certo. In maglia giallorossa ho vinto tre trofei, ho conquistato la Coppa America da titolare e ho giocato con grandi compagni. Ricordo ancora il primo giorno che ho visto il Colosseo: un’emozione. Come l’inno di Venditti, sentito ogni volta che la squadra entrava in campo a riscaldarsi».

Adesso lei guarda l’Italia da lontano. È preoccupato per quanto sta accadendo?

«Mio fratello e mia sorella vivono a Roma, ma anche negli Usa siamo tutti a casa. Situazione difficile, abbiamo paura».

Lei è chiamato a resistere, ma sa già come si fa, visto che nel 2013 fu costretto a smettere per un problema al cuore.

«Non è stato facile, mi cascò il mondo addosso. Avevo 34 anni, avrei giocato una stagione da titolare con il Botafogo. Per questo fu ancora più dura. Il giorno in cui andai in ospedale per la visita, capii che non avrei più giocato. Dopo aver lasciato il calcio, inoltre, sono rimasto un anno senza vedere nulla. “Highlights”, programmi sportivi: niente. Ogni volta che vedevo una partita mi sentivo male e cambiavo canale. Non ce la facevo proprio».

Così ha iniziato la sua nuova vita.

«Esatto, e se ci ripenso sto bene. Sono felice di aver intrapreso questa carriera. E non è l’unico affare in ballo: ho un parco di divertimenti per bambini insieme a Fabio Simplicio, sempre in Brasile. Nacque ai tempi della Roma, quando ancora giocavo. Vidi i dinosauri da “Zoomarine” e decisi che li avrei portati per la prima volta nel Paese, costruendo un parco a tema. Oggi piace a tutte le famiglie...».

Segue sempre la Roma?

«Ogni tanto, quando posso. L’azienda mi tiene impegnato per molto tempo, ma sono rimasto legato a quei colori».

Chi la convince di più?

«Zaniolo, un vero talento. Poi apprezzo anche Fonseca, è un bravo allenatore. Riguardo ai brasiliani, invece, di Ibañez si dice un gran bene, Juan Jesus è bravo. Infine sono sicuro che Fuzato farà grandi cose con la maglia della Roma. È un ottimo portiere».

I giallorossi, negli ultimi anni, ne hanno cambiati molti.

«Vestire la maglia della Roma non è facile. Devi avere la testa giusta e saper gestire la pressione».

Lei ci riuscì subito. Ricorda l’esordio in Serie A?

«Come dimenticarlo? 23 ottobre 2005, Roma-Lazio 1-1. Spalletti mi butta dentro a 26 anni, era la prima partita in campionato. Pensai ai sacrifici della mia famiglia, fu un bel giorno per loro. Poi a mia nonna: lei era italiana e si trasferì in Brasile. Quel giorno si chiuse un cerchio».

Il segreto di quella Roma?

«Eravamo amici e c’erano tanti brasiliani. Io, Taddei, Mancini, Juan, Cicinho. Ci divertivamo molto, avevamo una grande squadra. Ricordo Lione-Roma in Champions League nel 2007: 0-2 secco per noi. Se potessi tornare indietro rigiocherei quella gara perfetta. Si sentiva il peso di una piazza importante come quella romana, molto esigente, ma nessuno di noi aveva paura. Bastava seguire Francesco e Daniele...».

Le fa strano vedere una Roma senza di loro?

«Sì, molto. Non sembra neanche la Roma...».

Parliamo di Totti, che compagno è stato?

«Un grande. Lo considero senza dubbio uno dei più forti calciatori di sempre...».

De Rossi invece?

«Un amico, anche lui un grandissimo. Giocare con lui era fantastico, teneva il centrocampo e la difesa. Mi sentivo al sicuro».

Tra Totti e Spalletti non è finita bene, sorpreso?

«Quando c’ero io hanno sempre avuto un rapporto normale. Di quello che è accaduto dopo non posso parlare perché non lo so».

Ci racconti lo Spalletti allenatore.

«Con lui ho vinto due Coppe Italia e una Supercoppa da titolare. Ho lavorato con altri grandi allenatori, ma lui è stato il migliore mai avuto. Ti diceva sempre le cose in faccia, e poi era meglio non farlo arrabbiare. Era capace anche di prenderti a schiaffi (ride, ndr)!».

Con Ranieri invece, problemi, visto che le preferì più volte Julio Sergio?

«Mai avuto niente con lui».

Da portiere a portiere, come ha scoperto Alisson?

«Ho giocato un anno e mezzo ad Anfield (dal 2011 a gennaio 2013, ndr). L’allenatore dei portieri del Liverpool, John Achterberg, è un mio amico. Prima che Alisson andasse alla Roma, un agente mi chiamò per chiedermi come fare per offrilo ai “Reds”, così lo segnalai subito a John e gli dissi di fare qualcosa, perché era troppo forte. Gli assicurai che sarebbe diventato il portiere titolare del Brasile. Alla fine è andata così. Ho avuto ragione io».

A Liverpool ha giocato con Lucas Leiva, oggi perno della Lazio.

«Grande giocatore e grande amico. A centrocampo, quando gioca lui, bisogna solo stare tranquilli. È un professionista serio».