Continua l'intervista a Maurizio Sarri da parte di Vanity Fair. Dopo la prima parte nella quale ha ammesso di sentire nostalgia dell'Italia, il tecnico oggi spiega il Sarrismo: "È un modo di giocare a cacio e basta. Sette anni fa avevo altre idee, magari in futuro le cambierò di nuovo. Nasce dagli schiaffi presi, dalla ricerca di soluzioni per ogni difficoltà. Io dopo una vittoria non so gioire. Chi vince, resta fermo nelle sue convinzioni. Una sconfitta mi segna dentro più a lungo, mi rende critico, mi sposta un passo avanti".

Cose che lo hanno fatto diventare allenatore di culto:: "Quello che sta intorno al mio calcio è un passatempo. Mio nipote mi fa leggere la pagina Facebook Sarrismo e Rivoluzione. Si divertono, io sono anti-social".

Sarri risponde a chi lo accusa di essere un traditore per il probabile passaggio alla Juventus: "Tradisce chi si sottrae. Chi fa prevalere l’obiettivo individuale sull'obiettivo collettivo. Perciò a me delle maglie piace la metà davanti, dove c’è lo stemma della società. Dietro c’è il nome del giocatore: quel lato mi interessa meno. Baciare una maglia? Perché privarsi di un atto d’amore in previsione di quello che forse succederà tra dieci anni? Sarebbe meglio non farlo in modo diretto ma nel corso di una carriera può succedere".

Per Allegri il calcio è semplice: "Il mio è talmente semplice che è difficilissimo da interpretare. Il mio lavoro è creare una mentalità, gli schemi non c’entrano. Io stesso sono un uomo semplice. Non faccio il cardiochirurgo. Mi occupo di un gioco. Sono uno che ha idee in evoluzione. I media offrono una concezione malata del calcio: troppa enfasi sul singolo. Per esigenze giornalistiche si esaltano spesso giocatori forti, ma non così forti. È più facile il racconto: la società esige un idolo".