Scozia, Belgio, Olanda e Francia hanno detto stop, la Germania ha invece già ripreso. E dovrebbero seguirla, seppur con un mese di ritardo, anche Premier e Serie A: quali sono i rischi concreti di contagio per i giocatori e, soprattutto, c'è un ruolo più di altri esposto maggiormente al rischio Covid-19?

E' questa la domanda a cui ha provato a rispondere uno studio condotto dai ricercatori danesi dell'Aarhus University che hanno considerato 14 incontri della SuperLeague danese e hanno simulato la presenza di un giocatore positivo al Covid 19 e i suoi incroci con tutti i giocatori in campo nel suo raggio personale di un metro e mezzo. 

I risultati dello studio dicono che i contatti ravvicinati, in media, durano a partita un minuto e mezzo per giocatore. Quando però i protagonisti diventano gli attaccanti, i minuti salgo a 2. Che quindi sarebbero quelli potenzialmente più esposti rispetto agli altri.

E se la positività in campo al Covid-19 fosse di due giocatori, e non solo di uno? In quel caso salirebbe la durata totale di esposizione al virus, poiché si inizierebbero a sommare i minutaggi dei vari giocatori positivi. In caso di due positivi, ogni giocatore sarebbe esposto al virus per poco meno di tre minuti, in caso di 3 positivi si salirebbe a 4 minuti e mezzo e così via. Il professore dell'università di Copenaghen, Allan Randrup Thomsen,  ha però affermato che per aversi un contatto rilevante si deve essere a meno di due metri di distanza l'uno dall'altro per un tempo orientativo di almeno 15 minuti.