L'indagine è stata condotta da LinkedIn su un campione di oltre 2.000 lavoratori, con un intento chiaro quanto largamente diffuso negli oltre due mesi ormai trascorsi di pandemia: che effetti ha avuto lo smart working in Italia? 

E' innegabile, infatti, che il cosiddetto lavoro agile, già ampiamente previsto dal nostro ordinamento ma scarsamente e mal utilizzato nel nostro Paese, abbia conosciuto un'impennata durante l'epidemia da coronavirus che ha costretto a casa la quasi totalità della popolazione. Ma che effetti ha avuto e, soprattutto, quanto ha cambiato le vite dei lavoratori? L'inchiesta di LinkedIn, seppur non possa inevitabilmente rispondere con assoluta certezza alle domande, ha provato a fare un po' d'ordine.

Smart working, gli effetti negativi

Quel che traspare chiaramente, a dispetto di quanto in un primo momento si sarebbe portati banalmente a immaginare, è che con lo smartworking si lavora di più. Non in senso assoluto, quantomeno non con scientifica certezza, ma in senso certamente relativo dal punto di vista del lavoratore, per un aspetto psicologico troppe volte trascurato dalla cultura del lavoro italiana.

Sorprende infatti che il 22% dei lavoratori, quasi 1 su 4, si sia sentito in dovere di rispondere più rapidamente ed essere maggiormente reperibile, anche al di fuori dei propri orari di lavoro. A testimonianza, probabilmente, di una concezione certamente sbagliata e per certi versi malsana di smartworking, peraltro indirettamente difesa, in molti casi, da chi dello smartworking dovrebbe essere il principale interprete. In termini concreti, questo ha significato per molti italiani iniziare a lavorare in anticipo con orari di lavoro generalmente ricompresi dalle 8 alle 20.30, per un aumento, per il 24% dei lavoratori, delle canoniche 8 ore. Non riconosciute però come straordinario. 

Lavoratori più ansiosi dopo la quarantena?

Non è un caso, allora, se il 46% degli intervistati ha ammesso di sentirsi più ansioso e stressato rispetto a prima, così come il 48% di aver lavorato in media un'ora in più al giorno, quasi 3 giorni in più al mese. 

Ma non solo: l'aspetto psicologico che ha accompagnato questi mesi e che sembrerebbe essersi tradotto in uno più concreto di maggiore disponibilità effettiva nei confronti del proprio datore di lavoro, probabilmente alimentato, come si diceva, da una concezione alterata del lavoro agile, ha avuto impatti anche sulla vita privata delle persone. Il 21% degli intervistati ha ammesso di trovare più difficoltà nello staccare la spina a fine giornata, sensazione che ha portato il 36% a fingere di avere 'impegni' casalinghi per non essere disturbati. 

Smart working, gli effetti positivi 

Ovviamente, lavorare da casa non ha comportato soltanto aspetti negativi. Diversi, e da tempo sottolineati, sono gli effetti positivi: il 50% ha ammesso di essere riuscito, sottraendo i tempi necessari agli spostamenti casa-lavoro, a passare più tempo con la propria famiglia, mangiare più sano (il 27% lo ha testimoniato) e di fare anche più esercizio fisico (14%). 

Banalità che, seppur evidenti, raramente vengono analizzate: non essendo costretti a mangiar fuori o a portarsi quanto cucinato la sera prima in un schiscetta, una parte dei lavoratori ha sicuramente trovato il modo di mangiare con più attenzione e variando maggiormente la propria dieta, così come riducendo i tempi legati agli spostamenti le possibilità di fare esercizio fisico, pur essendo costretti in casa, sono decisamente aumentate. 

Il parere dell'esperto

Rosita Zucaro, avvocata giuslavorista e Post-Doc research fellow dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha sottolineato a Business Insider Italia di come il pericolo, in questi casi, sia quello dell'overworking“Oltre all’iperconnessione, il rischio è l’overworking, il lavoratore potenzialmente potrebbe essere continuamente contattato dal proprio capo, a eventuale danno della sua conciliazione vita-lavoro e della sua salute. Da qui è nata la necessità di disciplinare la disconnessione. Purtroppo in Italia abbiamo una tutela al momento insufficiente, in quanto la previsione all’interno della legge 22 maggio 2017, n. 81 è in sostanza una norma ‘vuota’ e la disconnessione non viene qualificata neppure come diritto”.