Tra tre giorni saranno passati 10 anni esatti dalla sua morte, avvenuta in un motel di Rimini per arresto cardiaco dovuto a presunto eccesso di sostanze stupefacenti. Ed il 13 gennaio scorso, Marco Pantani avrebbe compiuto 44 anni. 

Oggi, un decennio dopo, il caso rischia di riesplodere: l’avvocato Antonio De Renzis, legale della famiglia Pantani, difatti, stamane a “Mattino Cinque” ha rilasciato delle dichiarazioni che faranno quantomeno discutere.

«Ci sono 180 fotografie a colori ed un video di un’ora che si interrompe ben due volte. Ma non dovrebbero mai venire interrotti i video che riprendono scene di un crimine. Si vede una persona in camice bianco senza i copriscarpe e senza il copritesta, che fa le riprese e in un fotogramma ci sono sei persone vestite come noi nella stanza. Quindi l’inquinamento della scena è provato dalle immagini. Marco Pantani è stato ritrovato in una pozza di sangue in una stanza che sembrava divelta da un uragano. Vedendo il video si comprende immediatamente come le indagini si indirizzano in un’unica direzione, e cioè la droga, mentre dovevano essere lasciati aperti altri scenari. Noi vogliamo approfondire alcuni piccoli, ma grandi particolari. Chiederemo che certi dati vengano approfonditi, ci sono persone alle quali si sarebbero dovute fare determinate domande, perché sembrerebbe che Marco non sia stato chiuso quattro giorni lì dentro come, invece, sostiene la versione ufficiale».

 

Poi, la chiosa: «Nella stanza ci sono oggetti che sicuramente non sono arrivati con Marco perché ci sono tre testimoni che dicono esattamente come Marco è arrivato lì e certe cose non c’erano. E ci sono anche altri elementi da chiarire: Marco, secondo la versione ufficiale, avrebbe avuto un delirio, ma la specchiera divelta dal bagno è stata ritrovata per terra, ma intatta. La tv è adagiata sul pavimento, ma girata dal lato giusto. Le padelle, che sarebbero state lanciate, sono casualmente tutte rivolte dal lato corretto».

 

Il tutto avviene a solo un giorno dalla pubblicazione della commovente lettera che papà Paolo Pantani ha scritto di suo pugno (e pubblicata sul sito della fondazione www.pantani.it) per il figlio. 

 

"Carissimo Marco, penso ogni istante a quel dolore che ti ha devastato. E non posso accettare che ci sia qualcuno che dubiti di te. Carissimo immenso Marco, mi manchi da morire. Mai avrei pensato che qualcuno potesse mancarmi così tanto. Sono passati dieci anni e non riesco ancora a darmi pace in tutto questo tempo non ho mai smesso di tormentarmi pensando ogni istante a quel dolore così devastante che ti ha fatto patire quell'inferno, da quel giorno a Madonna di Campiglio. La tua dolcissima anima ha cominciato quel lungo viaggio senza ritorno. Che purtroppo ti ha tolto la tua dignità e portato lontano da noi. Hai dedicato tutta la tua vita al ciclismo dando sempre tutto te stesso e ti sei ritrovato in un incubo senza fine. Ti sei sempre dovuto difendere senza avere alcuna colpa, hai sempre lottato fino alla fine. Non ti sei mai arreso, hai sempre gridato la tua innocenza, chiesto giustizia e verità, ti hanno portato via tutto colpendoti profondamente nel tuo cuore, hanno infangato ogni tuo sacrificio buttandoti giù ogni volta che hai cercato di rialzarti, per cinque anni ti hanno torturato".

"Sette procure, giudici, giornali, televisioni, enti sportivi compreso la federazione ciclistica. Non riesco a darmi pace, non potrò mai rassegnarmi e accettare che un uomo buono, giusto, onesto, sensibile e generoso come te abbia dovuto soffrire tutto quell'inferno, dolore, tormento. In questi dieci anni non ho mai smesso di pensarti e di vederti così solo e disperato. Il tuo dolore ti ha fatto precipitare in quell'abisso che si era impadronito del tuo dolcissimo cuore. Ma io so che hai dovuto soffrire un così atroce dolore perché tutti i tuoi sogni, i tuoi progetti, le tue speranze ti sono stati negati. E perché la tua vita piena di gioia ti è stata portata via. Tutte quelle assurde menzogne e falsità ancora oggi purtroppo continuano a farti del male. Non riesco ancora ad accettare che ci sia qualcuno che dubiti di te. Che tante persone ti abbiano potuto usare e poi tradire voltandoti le spalle, ferendoti così profondamente, tradendo quella amicizia che tu credevi sincera da parte loro, tutto il fango, le accuse, l'infamia che ti hanno buttato addosso non potevi sopportarli. Tu sei nato e hai sempre vissuto per la bici. L'amavi così tanto da portarla anche a letto con te. Hai sopportato con tanti sacrifici tutti gli ostacoli che la vita purtroppo ti ha riservato troppe volte. E che tu con la forza della tua infinita passione hai sempre superato ripartendo più forte di prima. Te ne sei andato con il tuo dolore, invocando quella innocenza che ti è sempre stata negata. Carissimo Marco, il mio unico desiderio è che ti sia restituita la tua dignità con l'aiuto di Dio e di quelle persone che si devono mettere una mano sul cuore per tirare fuori la verità tanto sanno che tu le hai già perdonate, solo così la vita sarà migliore per tutti. Ti hanno torturato per cinque anni, hanno infangato ogni tuo sacrificio buttandoti giù ogni volta che hai cercato di rialzarti. Per cinque anni ti hanno torturato. Eri un uomo buono, giusto, sensibile, onesto e generoso. L'abisso si era impadronito del tuo dolcissimo cuore".