Qualcuno aveva dubitato sull’utilità di un certo Dries Mertens, quello che ha segnato più goal di tutti nella storia del Napoli. Eppure, chissà quanti si saranno accorti che la vittoria col Torino porta soprattutto il suo nome. Osimhen a parte, Koulibaly compreso. 

Nell’azione che ha regalato i tre punti ai partenopei ci sono la storia recente e quella in corso di scrittura. La forza e la tecnica di Koulibaly, che sradica la palla dai piedi dell’avversario, va via in dribbling e serve Lozano, il cui doppio tocco innesca il dialogo a più voci condotto da Mertens alla maniera dei grandi calciatori; finta sul difensore ed esterno a chiamare in causa Osimhen che, memore di fraseggi prima dei cataclismi trascorsi sotto forma di infortuni, restituisce di prima la palla al compagno che, a sua volta, richiama in causa Koulibaly col quale inizia un duetto culminato da un colpo di tacco del senegalese e da un fuga del belga. 

La parabola fortunosa che scaturisce dalla respinta del difensore e dalla schiena provvidenziale di Elmas sembra il premio all’insistenza e alla raffinatezza di una manovra ad alta velocità che l’elevazione, altrettanto prodigiosa, di Osimhen concretizza suggellandola in rete. Nel goal del nigeriano c’è la guida dalla quinte testimoniata dai cambi dell’allenatore toscano. Una guida che mette a frutto tutto quanto messo a disposizione dall’organico di un Napoli che va in campo in undici, ma gioca in numero maggiore. 

I tre errori dal dischetto di Lorenzo Insigne non sono stati determinanti ai fini del risultato, ma resta la percentuale negativa troppo evidente per non essere notata. Soprattutto per chi, come lui, ne aveva una molto alta in termini realizzativi prima dell’inizio di questa nuova stagione. Le parole di Spalletti hanno scomposto anagrafica e grado. Il mister è a protezione del calciatore. Come già era accaduto quando, in via molto sottile, aveva affiancato al “Capitano” il ruolo di un “Comandante”, riferendosi a Koulibaly. Un consolato fondato sulla scaltrezza e su una strategia piscologica alla quale non potevano sfuggire l’inutilità della valutazione tecnica sulle faccende da dischetto. Nel caso di Insigne è tutta una questione mentale e il nodo va sciolto tornando sul luogo del delitto. Il resto è disquisizione che col pathos da terreno di gioco c’entra poco e nulla.

Nel Napoli che ha rimesso in sesto gli uomini in discussione, come Rrahmani e Mario Rui, e che adesso sembra voler intraprendere nuovi dialoghi di recupero, l’azione di quel goal conserva il suo significato di fondo. Quello che riconduce all’utile paradosso evidenziato un po’ di tempo fa e alla coesistenza di due Napoli che nei mesi addietro sembravano incompatibili. Quando si verificano certe cose, pure un errore dal dischetto può essere facilmente superato.