A Napoli il calcio è sempre stato vissuto come il sogno. Non il sogno inteso in senso romantico e retorico, ma quello psicanalitico. Quello che nasce dall’inconscio strutturato come linguaggio, come sostiene Lacan, in luogo di quel desiderio che rappresenta la “mancanza ad essere”. Una tra le più grandi sofferenze di Napoli, che, mai dimenticarlo, non è soltanto un luogo, ma una parola – e come tale rientra nell’universo dei linguaggi – è sempre stata quella di cercare altrove riconoscimenti e consacrazioni che da sola non è mai riuscita a restituirsi. Quella forma antica e problematica di vittimismo l’ha sempre relegata a se stessa, in quel confino oleografico da cui ancora oggi non sa liberarsi.

Anche nel calcio, che, giustamente, a Napoli è vissuto come un linguaggio, la religione del pallone non ha sottratto alle tensioni dei suoi seguaci l’inganno degli idoli, di quelle figure provvisorie e bugiarde che si sono mischiate alle divinità, ormai incapaci di difendersi e di reclamare la propria autenticità perché allontanate da quel desiderio, appunto, da parte dei tifosi, di potersi nuovamente affrancare da differenze e disuguaglianze, almeno avvertite tali, attraverso il successo sportivo. E in questi anni Napoli ne ha visti passare non pochi di idoli che hanno accresciuto, a loro volta accrescendosi, quel desiderio quasi sempre deluso e mancato. Alcuni di essi hanno sperimentato la durezza dello stare tra le fila sbagliate, quelle che devono faticare il doppio per arrivare alla vittoria, per poi passare a quelle avversarie. Altri, invece, si sono arresi e hanno abbandonato lasciando un biglietto ora di scuse, ora di contestazione.

Eppure, negli anni del dopo fallimento questo Napoli ha sempre dovuto imparare qualche lezione, conservando spesso i pezzi delle divisioni e delle rotture precedenti. Gattuso è arrivato quando i pezzi stavano ancora cadendo. Ci ha messo tempo, all’inizio sembrava che le cose stessero peggiorando. Poi si è capito che lui quei pezzi li stava raccogliendo. Uno per volta. E non è vero che il Gattuso visto fino a questo momento è quello rabbioso e arcigno. Tutto il contrario. Quell’uomo venuto dalle severità della vita e delle panchine sbagliate, in mezzo una grande quantità di successi da calciatore, a Napoli ci è venuto armandosi prima di tutto di pazienza. Il “Ringhio” è stato messo da parte per fare spazio a una forma arcaica di tenerezza.

Soltanto così, soltanto guardando alle cose con realismo e intelligenza sarebbe stato possibile aggirare l’idolatria delle facili ebbrezze, delle promesse, delle illusioni. Solo l’attenzione alla soluzione. Un Napoli ripreso per i capelli, calato nelle acque come Achille, reimpostato su un gioco pragmatico e abnegato, essenziale e rigoroso, come poche volte era capitato a Napoli nell'era De Laurentiis. Il gioco senza il comandamento esclusivo e ideologico del gioco, ma con la norma primaria dell’appartenenza a una maglia che chi la indossa ha il dovere extracontrattuale di sentire come l’unico dio per i desideri di tante persone. 

La cosa che sorprende di più di questo nuovo Napoli è la sua identità collettiva. Nessun principe, nessun re, nessun comandante di sorta o leader indiscusso. Demme si è guadagnato stima e fiducia tanto quanto molti altri calciatori che giocano a Napoli da anni, Meret e Ospsina, nonostante qualche polemica sul loro utilizzo, sono stati ugualmente utili alla vittoria della Coppa Italia, col primo chiamato a difendere la porta nel momento più importante. Quanti calciatori si sarebbero dimostrati così mentalmente forti in un frangente simile?

Il Napoli ha conquistato questa edizione della Coppa Italia battendo con pieno merito le prime tre della classifica di Serie A. Lo ha fatto giocando addosso agli avversari, talvolta sfruttandoli tatticamente e agonisticamente. Ha agito secondo canoni che fino a pochi mesi fa gli erano estranei. Prima di un trofeo, ha conquistato prima di tutto se stesso. Si è impadronito del suo mancato, di quello che prima non era riuscito ad essere. Il suo desiderio è stato il desiderio dei suoi tifosi e quel desiderio è stato portato sul terreno di gioco. E nessun idolo d’occasione l’ha deluso. Un Napoli che non si è mancato.