È stata una punizione. Forse la chiuderebbe così uno dei protagonisti di un film di Sergio Leone. Niente innocenti e molti cattivi. Nessun santo perché la vita di santi non ne prevede. È stata una punizione. Una traiettoria lenta, inesorabile, cattiva.

Lui ne ha calciate tante, Siniša Mihajlović. E molte anche bene, benissimo. Una volta se segnò tre in una partita sola. Lazio-Sampdoria, tripletta su tre calci di punizione. Quando Mihajlović piazzava il pallone dalla trequarti in avanti c’era da tremare. Perché il suo sinistro era capace di pescare l’angolo lontano da zone centrali e laterali. Soprattutto quando il suo mancino poteva arcuare le sue traiettorie dai lati destri, la pericolosità aumentava a dismisura. Forza e precisione, effetto e imprevedibilità mettevano fuori gioco le barriere e i portieri. Pare che una volta, da ragazzino, Mihajlović provando una delle sue punizioni avesse rotto il braccio a un suo coetaneo.

Non era di carattere dolcissimo. Almeno così non sembrava in campo e così non traspariva da certi episodi che lo hanno coinvolto anche fuori dal terreno di gioco. Non gli sono mancate le polemiche, che lui prontamente non ha messo in disparte e ha tirato fuori per affrontarle, talvolta ribadendone ragioni e principi. Uno poco votato ai buonismi, nonostante la vita gli abbia riservato un destino di sofferenze che inevitabilmente gli hanno procurato i più sani e indiscutibili patetismi. Ma mai per sua bocca. Si è mostrato ostile pure davanti alla malattia. Si è commosso e ha fatto commuovere, ma sempre col piglio di chi si porta dentro certe inquietudini che sono il volto dannato e indecifrabile di un secolo che non sarà mai affrancato dalle sue colpe e dalle sue violazioni. 

Siniša Mihajlović è stato un personaggio del calcio che ha sfaccettato la discutibilità. Le vicende che lo hanno riguardato rispetto alle polemiche su alcune sue amicizie con personaggi storici passati alla storia male, molto male, e alcuni aneddoti forti, molto forti, hanno restituito una personalità più complessa e gravosa del marasma di leggerezze artificiose che vorrebbero popolare uno sport che non è soltanto uno sport.

Siniša Mihajlović ha fatto parte di quella lunga generazione di giocatori che si sono sempre sentiti addosso qualcosa di più pesante di una casacca. Talvolta a ragione, talvolta a torto. E tra i nati in Jugoslavia negli anni sessanta di personalità analoghe ce ne sono tante. È stata una punizione contro l’uomo delle punizioni. Stavolta, calciata da qualcosa che non si aggira nei campi di calcio. E che raramente fallisce.