Risale al 2011 una dichiarazione di Aurelio De Laurentiis sulla campagna abbonamenti della SSC Napoli: “Non vorrei farla, dico ai nostri tifosi di venirci a vedere partita dopo partita”, poi, “Prima proverò a capire quanta gente è intenzionata a sottoscrivere la tessera. Ma ho l'impressione che i napoletani non siano molto interessati. I risultati al botteghino, nelle scorse stagioni, sono stati davvero minimi. Vuol dire che c'è qualcosa che non va”.

La Società Sportiva Calcio Napoli, intanto, ha ufficializzato la campagna abbonamenti per il campionato nazionale di Serie A della stagione 2016\2017. I prezzi delle tessere, rispetto alla scorsa stagione, sono lievitati in maniera non del tutto prevista. Un rincaro medio del 30% ha aumentato i prezzi di una fidelizzazione che, di fatto, il patron azzurro non ha mai favorevolmente approvato attraverso particolari strategie di vendita. Una scelta che, a dispetto dei tifosi che ogni anno desiderano sottoscrivere l’abbonamento, proviene da una lettura che interpreta le innovazioni delle nuove "calendarizzazioni", delle televisioni e della “fatiscenza” di una struttura, lo stadio San Paolo, che non assicura agli spettatori nemmeno i servizi più elementari.

Lo scorso anno il Napoli, tra le società di Serie A, è stata quella che ha venduto meno abbonamenti. Il calo di vendite al botteghino estivo ha registrato un andamento previsto da De Laurentiis alcuni anni prima, forse, di fatto, anche contribuendo a determinarlo. I costi degli abbonamenti al Napoli non sono tra i più alti d’Italia, questo è vero, ma è anche vero che se si va a osservare la forbice dei prezzi dei diversi settori (costo più alto e costo più basso, a seconda del settore), quella del Napoli è tra le più strette, avvicinando, così, le cifre dei settori più economici - o meno cari - con quelle degli abbonamenti più alti. Inoltre, l’aumento del 2016\2017 avvicina il Napoli ai prezzi di società come Juventus, Milan, Inter e Roma, che occupano i primi posti della classifica di vendite. Un avvicinamento che, però, la SSC Napoli non può permettersi, a causa dell’assenza di una struttura degna di ospitare manifestazioni calcistiche di primissimo livello.

Ecco che i nuovi rincari testimoniano alcuni aspetti. Nella risposta di mercato del calcio a Napoli è ignorata la domanda di chi vorrebbe uno stadio attrezzato di strutture e servizi quanto meno dignitosi. E qui, come da “tradizione”, emerge puntuale la vecchia disputa sugli interventi spettanti al comune e le proposte (mai del tutto chiare) della società. Ne scaturisce un’ambiguità che arresta il San Paolo al suo stato post mondiale italiano (al limite della fatiscenza), ma che, allo stesso tempo, sembra liberare la società dallo scrupolo di aumentare i costi degli abbonamenti. In queste scelte è assente il tifoso, soprattutto quello fidelizzato. Un aspetto che contribuisce alla metamorfosi del mondo del calcio anche dal punto di vista del consumo. 

La SSC Napoli non vende una passione, ma degli eventi. Da anni il Napoli agisce secondo un protocollo che allontana il tifoso dall’abbonamento, ma lo avvicina a frequentare lo stadio a seconda del tipo di appuntamento. Già da diversi anni l’oscillazione del prezzo del biglietto segue quella emotiva, quella della classifica, quella del tipo di partita. Il Napoli, due stagioni fa, ha fissato prezzi popolarissimi per la semifinale di Coppa Italia, come per alcune gare di campionato fissate nel monday night, o come per il preliminare di Champions con l’Athletic Bilbao. Talvolta, alcuni prezzi dei biglietti hanno sorpreso i tifosi per la ragione opposta. Ma nessuna sorpresa, perché tutto fa parte di un’intenzione che vuole determinare l’abitudine all’evento, ma non a una forma di appartenenza. La società preferisce la vendita dell’evento singolo, in assenza di sintonia con l’affezione del tifoso classico. È come se il calcio fosse venduto a distanza, in assenza di un luogo che sia valido e moderno punto di riferimento. Ma, in fondo, tutto questo non risponde alla gestione dell’attuale SSC Napoli? La voce strutture parla molto chiaro. Cosa, allora, legittimerebbe la riluttanza del tifoso a sottoscrivere un abbonamento a queste condizioni? Semplicemente, la sua assenza in questa strategia, se di strategia si tratta.

De Laurentiis, del resto, non fa mistero del suo modo di intendere il calcio. Sarebbe ipocrita e retorico nascondersi dietro moralismi da romanticismo del pallone. Il calcio è in vendita. Col calcio sono in vendita le passioni. Il presidente della SSC Napoli, forse, ha scelto la sua variante. Lui non vende passioni, ma eventi. Non si trascuri che, sebbene certi condizionamenti, la passione, eppur così indelicatamente ignorata, non è così assente nella voglia di assistervi, a certi eventi.