"Ascoltateli. I figli della notte. Quale dolce musica emettono" 


Dialogo tra Vlad e Jonathan,

'Bram Stoker's Dracula', di Francis Ford Coppola [1992]

La scienza ha dimostrato che l’ululato dei lupi viene emesso, sostanzialmente, per quattro ragioni: per socializzare, per comunicare ai propri simili che il territorio è già occupato, per ritrovare i propri simili quando si allontanano e per avvertirli di un potenziale pericolo. Questo specifico tipo di onde sonore emesse dai lupi possono arrivare a esser percepite dagli altri membri del branco anche sino a 20 chilometri, ma l'uomo non può sentirli se non entro i 3.

Ma ciò che dice la scienza, riguardo a quanto è accaduto ieri sera in Serie B, non ha margine d'applicazione alcuno. Anzi. 

C'è un'antica leggenda indiana, ambientata in una selva incontaminata in cui querce, conifere e aceri si intrecciano come la trama di una pellicola dei Nolan, che vale la pena di raccontare. 

Soprattutto oggi. 
Nel fascinoso crepuscolo dei tempi, durante un'afosa e silente notte, la foresta sonnecchia maestosa. Baciata solo dalla pallida luce di falce di Luna, quella languida quiete è destinata ad essere interrotta. Ma non bruscamente: tutt'altro. 
Dallo zenit della montagna più brulla, difatti, si innalza verso il chiaro satellite un ululato dal sapore sapido del pianto e dall'acre odore della disperazione. 
Un lupo, dalla postura altera nonostante il dolore, chiede aiuto all'intero creato. 


La Luna, turbata dai suoi reiterati gemiti animaleschi, si china allora in suo soccorso, e apprende così che il più piccolo e inerme dei suoi cuccioli s'è perso, nel buio della boscaglia. Così la Luna, compagna fedele degli esseri viventi, sempre di guardia, risoluta e solitaria, decide di venire in soccorso al suo nuovo e desolato amico. 
Inizia a soffiare forte dentro sé stessa, e a gonfiarsi di chiarore, sino a diventare sconfinata e tonda, proprio come un latteo bottone di madreperla, adagiato su un cielo di bruno velluto. La foresta, ora, è irradiata a giorno, e il lupo nel giro di un battibaleno ritrova il suo perduto cucciolo tremante. Prima di rientrare insieme a lui nel bosco, però, si volta verso la Luna, che intanto assiste sorniona alla scena, e la guarda con gli occhi della gratitudine più pura. Poi scodinzola via.


E' in quell'istante che Madre Natura decide di rendere omaggio alla Luna e agli abitanti della selva, chiedendole, una volta al mese, di tornare a essere abbagliante e sferica, per concedere anche a tutti gli altri animali di ritrovare i loro cuccioli perduti. Ed è per questo che i lupi, durante le notti più ammalianti, ululano festosi alla Luna piena: per ringraziarla.

Perché sanno che anche gli esseri più ardimentosi e fieri hanno bisogno di un amico e del suo aiuto, nei momenti di definizione. E per quanto quell'amico possa essere lontano, e l'aiuto insperato, prima o poi arriverà. 
Perché le mani che aiutano sono sempre più sante delle labbra che pregano.

 

Ieri notte la Luna del Cosenza Calcio era distante oltre 800 (e non 20) chilometri, in linea d'aria, dal San Vito-Gigi Marulla. 
Lì dove Roberto Occhiuzzi - diventato allenatore dei rossoblu solo 135 giorni prima, nel pieno d'un dramma sportivo dimenticato solo per via della pandemia, e nella diffidenza generale - e i suoi lupi avevano appena fatto il possibile e financo l'impossibile, per riportare a casa, la Serie B, un popolo intero di cuccioli, carnificati nei tifosi. 
Sette vittorie, alcune delle quali epiche e impronosticabili, un pari e solo due sconfitte nel ruolino di marcia d'un ragazzo di Calabria chiamato a un miracolo laico, prim'ancora che sportivo. E che, grazie alla solita puntata offensiva dell'infinito Sciaudone, e alla doppietta d'un fenomeno come Rivière - la cui storia meriterebbe d'esser raccontata in un manoscritto - , avevano portato all'apogeo la propria rimonta in classifica, ricacciando negli Inferi della C la Juve Stabia. 

Ma non basta mai poco per bastare a sé stessi. Anzi.

Spesso, dietro l'ostacolo oltre il quale si butta il cuore, anche l'ardito può incrociare un muro invalicabile. 
Che nel caso del Cosenza era rappresentato da quanto accadeva al Bentegodi.
Le sconfitte, ormai consolidate, di Perugia e Ascoli, difatti, non bastavano a sradicare di dosso l'incrollabilità di matematica dal disegno calcistico più lieve. Chievo e Pescara, nei pressi dell'Arena, suonavano ancora e ancora l'insipida litania del pareggio a reti bianche. Quasi eburnee. Proprio come la Luna, che intanto assisteva leziosa a quanto accadeva in terra. E intanto ascoltava l'ululato non di un lupo, ma di un intero branco. 
Che, dopo il terzo pallone che Provedel s'era chinato a raccattare in fondo al sacco, ormai null'altro poteva fare, se non ululare di passione. Sperando che qualcuno raccogliesse quel gemito voluttuoso.  

 

E' in questi convulsi attimi che la Luna viene in soccorso ai lupi. 
Perché la Luna dei lupi, ieri sera, ha avuto un nome e un cognome. Che forse non a caso differisce dalla sua eburnea e sconfinata gemella solo per una 'C' al posto di una 'N'. Luca Garritano, da Via degli Stadi, nel cuore pulsante calcistico della città dei Bruzi. 
A un fremito dal fischio finale, mentre nella sua città - dove è cresciuto, prima di approdare sino in A, e ha peraltro giocato fino a pochi mesi fa - era solo il palpitìo collettivo a rompere il silenzio della foresta, non poteva che essere lui a illuminare di nivea bellezza il branco. Chievo-Pescara 1-0. 
La Luna s'è chinata in loro soccorso, e i lupi la ringraziano, ululando al suo cospetto per tutta la notte.

L'antica epopea della Luna e dei lupi, ora, non è più solo tale.  
D'altro canto, come diceva Nick Fury, la leggenda racconta una cosa e la storia un'altra. Ma di tanto in tanto scopriamo qualcosa che appartiene ad entrambe.
E quel qualcosa, talvolta, può anche, banalmente, essere il calcio.