C'è stato un momento in cui Maurizio Sarri poteva davvero diventare l'allenatore della Sampdoria. Era la primavera del 2015, il triennio empolese del maestro di calcio dallo sguardo corrucciato e dall'idea di calcio raffinata era evidentemente prossimo a concludersi, il Napoli lavorava forte su Emery, e Ferrero s'era innamorato del suo profilo. Poi, però, il Siviglia decise di negare il tecnico castigliano a De Laurentiis, e il presidente azzurro, come un falco, si fiondò su Sarri ed in una manciata di giorni lo portò lì dove sta insegnando pallone da due anni e mezzo. L'11 giugno di quell'anno il Napoli presenta Sarri per il dopo Benitez e la Samp Zenga per il post Mihajlovic. 

"Batterà Sinisa - nel frattempo chiamato da Galliani, n.d.r. - 2-0", dirà l'istrionico patron blucerchiato, durante la presentazione dell'uomo ragno. Al primo Milan-Sampdoria, finito 4-1, neanche ci arriverà, Zenga, che dopo 12 giornate venne rimpiazzato da un certo Vincenzo Montella, che a fine stagione chiuderà 15°. E dire che già allora, in panchina, poteva esserci Sarri. 

Un preambolo certo non breve, e neanche necessario, in tutta sincerità, per meglio collocare temporalmente i contorni di una storia che coinvolge colui che, nel frattempo, era svincolato, dopo una breve ma positiva esperienza alla Cremonese, in Lega Pro. Già, perché al tempo dei primi caldi dell'estate 2015 Marco Giampaolo è un allenatore ancora relativamente giovane (è un classe '67), che ha iniziato forte con 6 anni consecutivi in A tra Cagliari, Siena, Catania e Cesena, ma poi s'è sbruciacchiato accettando di retrocedere in B, al Brescia, dove dura neanche 3 mesi e 7 partite ufficiali prima di dimettersi.  

“Voi paragonate sempre Sarri e Giampaolo. Io volevo Sarri prima che venisse al Napoli. Mi hanno fatto un trucco i miei collaboratori ed io mi sono fidato e ne hanno scelto un altro. Ho avuto la fortuna di prendere il maestro di Sarri che è Marco Giampaolo”

MASSIMO FERRERO

L'arrivo all'Empoli, per raccogliere la certo non lieve eredità del suo predecessore, non è certo banale. 4 giorni dopo le firme di Zenga e Sarri, difatti, arriva anche quella di Giampaolo per la società di Corsi. Presentandosi così: “Conosco Sarri, con lui mi sono spesso confrontato, avendo entrambi un modo di pensare abbastanza simile. Qui ad Empoli ha fatto qualcosa di straordinario, con tre anni di gran lavoro che hanno lasciato sicuramente una traccia importante: tutto ciò non va disperso assolutamente. Io dovrò avere la capacità di proseguire un certo tipo di lavoro e rispondere agli obiettivi del club”. E invece, farà addirittura meglio del mister precedente: si salva praticamente in inverno, a fine stagione chiude 10° facendo più punti di Sarri, e comunica alla società la sua intenzione di lasciare. Già, perché da Genova lo ha chiamato appunto Ferrero, e l'occasione per sbarcare in una squadra ambiziosa come quella ligure, che ha perso l'aeroplanino, non è ripetibile. Soprattutto per chi, in passato, ha sognato addirittura di allenare la Juventus. Certo, non quella vincente come nessun altro, ma quella in odore di rinascita com'era quella del 2009. Di un'altra, afosa, estate di scelte, in cui la dirigenza bianconera valuta i possibili successori di Claudio Ranieri, e mette in cima alla lista del DS Alessio Secco proprio lui. D'altra parte, è un emergente, ha ancora 42 anni, viene da una godereccia stagione senese, e non dispiace alla proprietà. Che trova l'accordo, ma alla fine preferisce la soluzione "interna": Ciro Ferrara, che viene eliminato da qualsiasi competizione, ed esonerato a gennaio 2010. "E’ stato un treno che è passato e forse non passerà più", dirà, più volte, negli anni, Giampaolo. Tecnico per una notte, una vita (calcistica) prima, della squadra che diverse stagioni dopo dominerà a Marassi.

"Mi meritavo la Juve, in quel momento, ma poi i dirigenti scelsero Ferrara che fu esonerato. Chissà, forse con me in panchina la squadra bianconera avrebbe fatto un altro cammino"

MARCO GIAMPAOLO

La Sampdoria, si diceva. Un ambiente relativamente giovane, dove la fantasia societaria consente ai tecnici di sbizzarrirsi anche in sede di mercato, oltre che di sperimentare in fase tattica. Marco Giampaolo, cresciuto all'ombra di un fratello di talento come Federico, padre muratore e madre operaia, emigrati in cerca di lavoro, firma un biennale da 800mila euro netti più bonus. E' il suo momento, e Giampaolo lo sa. Dopo poche settimane vince il suo primo derby, bissando anche il successo al ritorno. Alla prima stagione, fatta di (molti) alti e (pochi) bassi, chiude 10° e gli viene rinnovato il contratto. Ma nel cuore dei tifosi, lui, cresciuto in una famiglia di fede interista, che non alza mai la voce e che fuori dal campo va a cena con Sepulveda, non c'è ancora entrato. Sarà perché concede troppa - e spesso immeritata - fiducia a Regini e Alvarez, sarà perché non è ancora riuscito a far esplodere un talento come Praet, oppure perché tutti sanno che il suo vero diamante - Patrik Schick - ha già finito la sua breve esperienza con addosso la maglia più bella del mondo. La nuova stagione arriva, e come spesso accade Osti e Pradé gli stravolgono la squadra. Oltre al giovane talento ceco, salutano sia Skriniar (a proposito, chi ne ha fatto oggi uno dei migliori difensori del campionato?) che Muriel e Bruno Fernandes. Con 4 sole cessioni, il Doria ha venduto - bene, per inciso, sotto il profilo finanziario - oltre che l'ossatura, 27 dei suoi 49 gol stagionali in campionato. In compenso, in estate Ferrero gli regala tanto materiale umano su cui lavorare. Ragazzi mediamente giovani, praticamente tra i 22 e i 25 anni, prossimi a realizzarsi calcisticamente rispetto al potenziale apice delle proprie carriere, ma ancora da tramutarsi in buoni calciatori fatti e finiti. Un processo che solo un grande allenatore riesce a concretizzare, nel giro di un paio di stagioni. Proprio come già ha fatto Sarri, a Napoli.

"Ero un play, un giocatore ordinato e con discreta tecnica. Non ero veloce né esplosivo, e nel calcio di oggi avrei fatto fatica a trovare posto. Giampaolo allenatore farebbe giocare il Giampaolo centrocampista? Per intelligenza calcistica sì, per qualità fisiche e per la velocità che oggi il calcio esprime forse no. Ma ero un generoso. E poi già a 24 anni giocavo e prendevo appunti e se già allora mi avessero detto di smettere per fare l'allenatore avrei accettato"

MARCO GIAMPAOLO 

Non cambia idea tattica, coerentemente, al suo secondo anno genovese. Cresciuto com'è ammirando il 4-4-2 sacchiano, ma folgorato dal 4-3-3 del maestro Galeone, ha un solo dogma: la difesa a 4 in linea ed, ovviamente, a zona. Il talento, però, gli è sempre piaciuto, soprattutto quando si parla di centrocampisti, incursori o rifinitori che siano. A Empoli ha utilizzato con successo il 4-3-1-2 che fu appunto di Sarri, arretrando Paredes davanti alla difesa e schierando Zielinski mezzala. Dietro le punte, poi, c'è Saponara: tutta gente che chiunque faticherebbe a mettere contemporaneamente in campo, a meno che - fatte la debite proporzioni - non ci si chiami Ancelotti e non ci si ritrovi a dover gestire all'unisono, tatticamente, Seedorf, Pirlo e Rui Costa. A distanza di poco quei tre ragazzi terribili si ritrovano rispettivamente protagonisti di Zenit, Napoli e Fiorentina. E lui, Giampaolo, a Genova ci riprova con Bruno Fernandes, Praet e un ex trequartista come Torreira. Quando il portoghese va via e arriva Ramirez non cambia nulla: il centrocampo dall'elevato tasso tecnico, in cui i soli Linetty o Barreto fanno legna alternativamente, è il motore d'una macchina che sbaglia solo 3 partite su 13. Quando crolla fisicamente ma soprattutto psicologicamente a Udine, quando regala un tempo all'Inter a Milano, e ieri, relegandosi in un angolino di mestizia a Bologna. Per il resto, solo allori e gloria, culminate con la vittoria di neanche 10 giorni fa a Marassi contro la Juventus e affinate dal terzo derby di fila vincente: come lui, solo Novellino.

E' per questo motivo che abbiamo deciso di dedicare lo spazio dell'editoriale settimanale a Marco Giampaolo ed alla sua Sampdoria, proprio a ridosso di quella che probabilmente è la peggiore delle partite del suo anno e mezzo blucerchiato. Nel pieno della sua seconda stagione, in cui l'opera di maturazione dei ragazzi a sua disposizione è ormai all'apice. Nel giro di 18 mesi ha trasformato Lucas Torreira in uno dei registi più ambiti del mercato europeo, e riportato in auge un cavallo indomabile come Duvan Zapata. Ridato smalto a dei senatori poco in vena come Strinic, Quagliarella, Silvestre e Ramirez, e lanciato ormai definitivamente un centrale di bellissime speranze come Ferrari. Fatto evolvere un altro trequartista - Praet - in una mezzala pronta e decisiva, e portato Caprari a giocare in un ruolo diverso, dietro le punte, mai fatto in carriera ma che sembra poter ampiamente essere nelle sue corde. E non solo: perché i prossimi due colpi che ha in canna si chiamano Linetty, assente al Dall'Ara per una noia muscolare, e Kownacki, per il quale la lavorazione e messa in opera, così come fu per Schick, durerà ancora qualche mese. Ma che già come il suo amico e connazionale, ha mostrato di poterci stare eccome, nella parte alta del campionato che per molti è ancora oggi il più difficile d'Europa. Un campionato che, da qualche settimana a questa parte, ha messo in mostra un nuovo gioiello tattico, che va in campo sempre e comunque per vincere, con la stessa formazione tipo, ed un'idea di calcio che ricorda sempre più da vicino quella di colui che lo precedette, in quel di Empoli. Col quale, oltre alla piacevolezza di fare calcio, condivide anche un'altra viscerale passione: quella per il fumo. Nel suo caso, per il sigaro. Toscano, obviously. Come lo definisce lui, "da meditazione". Perché lo "rilassa quando ho pensieri per la testa".

Molti di questi, probabilmente, riguardano appunto Sarri. Ed il sogno, nel cassetto, di seguire le sue orme ancora una volta. Magari facendo un altro salto di livello. E di calciatori, perché, come riflette Giampaolo, "Sarri all’Empoli fa 40 punti, al Napoli 90. Pensate sia diventato bravo adesso? No, lo era già prima, ma non aveva quel materiale a disposizione". 

Oggi, nonostante la sconfitta di Bologna, Giampaolo è sesto, a una manciata di punti dalla Lazio quinta, e con una partita da recuperare. Chissà, con del materiale diverso in mano, dove potrebbe arrivare. Magari a prendere il posto di Sarri al Napoli, di Montella al Milan, o di Ventura in Nazionale. Ne riparliamo a giugno, forse è meglio. D'altra parte, è sempre stato quello il mese dei cambiamenti. Delle panchine, e della vita professionale di Marco Giampaolo.