La verità è che, tutto sommato, e nonostante i tuoi soliti vizi, ci sei piaciuto. Caro calcio italiano, dopo anni e anni di silente attesa per il tuo ritorno, finalmente ti diciamo grazie.

Grazie per una lotta salvezza intensa e sentita fino alla fine; grazie per uno Scudetto, per una volta, conteso tra due squadre che se la sono giocata quasi ad armi pari; grazie per una corsa Champions che anche nell'ultima partita, in ordine cronologico, della stagione, ci ha regalato emozioni sino all'ultimo minuto di recupero. E grazie anche per quelle belle sensazioni e urla di rivalsa, per quanto poi strozzate in gola per via del valore assoluto altrui - ancora diverso, dal nostro: e vale tanto per il Milan contro l'Arsenal, quanto per la Juve di Madrid e la Roma contro il Liverpool - che ci ricorda come la crescita del movimento, per quanto ben innescatasi, deve ancora portarsi a compimento.

A poche ora dalla fine del campionato sono più che altro questi i sentimenti che ci sentiamo di esprimere. Troppe cose, nell'ultimo triennio, erano diventate scontate e financo banali, mentre stavolta ci siamo goduti ribaltoni e controribaltoni, non solo sportivi, che ci hanno consentito di godere sull'altalena emozionale di almeno una ventina di partite dall'elevato tasso tecnico e dal tumultuoso senso di competitività che, purtroppo - ma questo è un vizio che probabilmente non ci toglieremo mai -, sono anche sconfinate in ambiti non prettamente ludico-sportivi.

La rappresentazione plastica di quest'ultima considerazione sta in qualche sfottò di troppo, da parte dei diretti protagonisti della vittoria dello Juventus Stadium, che hanno incattivito un clima già di per sé abbastanza velenoso. Nulla, in ogni caso, che intacchi i meriti della squadra che ha vinto che però l'ha fatto mai come stavolta con estrema difficoltà, costretta come s'è ritrovata a dover mettere in gioco ogni sforzo a sua disposizione. La tenacia, più di ogni altra cosa, ha deciso una stagione che i campioni d'Italia hanno portato a casa con un paio di miracoli, carnificati dai gol decisivi all'Olimpico (Dybala al 93') e a San Siro (Higuain all'89'). Pesanti come macigni, imprevedibili come tuoni, velenosi come punture di animali esotici e cattivi. Tipici di quelli che fanno la differenza. 

E capaci di abbattere psicologicamente una rivale più meritoria ma solo nel gioco inteso nel senso più aulico del termine, ma azzannata a morte - come apertamente dichiarato dal suo allenatore e mentore - nella psiche. Un limite, a tutti gli effetti, che oggi è una delle sole due variabili che diversifica quelle che si contenderanno il titolo anche l'anno prossimo. Ma mentre questa seconda (la profondità della rosa) lacuna non è compensabile per un'infinità di motivi, la prima ha diversi margini di azzeramento. E molti di questi passano per la panchina: Maurizio Sarri a questa squadra nel triennio che gli è toccato ha regalato una filosofia di gioco talmente apprezzabile che disperderla o snaturarla sarebbe non solo controproducente, ma anche umiliante.

Proseguire il cammino con l'unico uomo in grado di darle seguito, quanto meno nell'approccio tecnico-tattico, e contemporaneamente di donargli virtuosità mentale, resta la scelta più giusta da fare. Uomo che, ovviamente, è Carlo Ancelotti: uno che la sottile differenza che passa tra la vittoria e la sconfitta la conosce meglio di chiunque altro. E che, verso la Juventus, nutre sentimenti non proprio idiliiaci, per via del suo percorso sportivo. Una scelta talmente giusta da fare che il rischio è proprio quello di non farla, per proseguire un rapporto, quello con Sarri, che sembra essere sempre meno convinto, da ambo le parti.

Chi invece è doppiamente convinto, oltre che convincente, è Luciano Spalletti, che ha il merito di aver riportato l'Inter in Champions dopo 6 anni. Era quello l'obiettivo suo e della società, che ha dovuto a sua volta sudarsela fino all'ultimo secondo disponibile: e dire che aveva gettato via al vento i diversi (primi) mesi di buon calcio e ottimi risultati con un inizio 2018 semplicemente pessimo, ed una sconfitta casalinga contro il Sassuolo che era stato un vero e proprio regalo alla Lazio. Altra questione di merito e di continuità: Immobile, Luis Alberto, Milinkovic e Inzaghi avrebbero meritato forse più dell'Inter stessa la chance di giocare la Champions il prossimo anno, ma si sono auto-inflitti la competizione minore perché non sono riusciti a portare a casa neanche una vittoria nelle ultime tre partite. Calendario non proprio favorevole, certo, ma nessun alibi per una squadra che - anche per via di qualche sciocchezza - era in avanti nel risultato, in casa, con due risultati sue tre a disposizione, ed a pochi minuti dalla fine. L'Inter, nell'arco dei 9 mesi stagionali, non avrà forse espresso un calcio bello e offensivo come quello della Lazio (e non a caso ha segnato molto meno, pur condividendo con la Lazio stessa il capocannoniere), ma ha subito ben 19 gol in meno. E in Italia, anche stavolta, la classifica dei gol subiti è quasi perfettamente coincidente con quella finale. Discorso a parte meriterebbe l'ormai consueto, ma discutibile, meccanismo di assegnazione per chi arriva a pari punti: mai come in questo caso, difatti, sarebbe stato sportivamente più equo procedere ad una partita di spareggio, come purtroppo non è ormai dal 2005-06.

Discorso simile vale anche, ovviamente, per tutti gli altri piazzamenti, che invece si portano in dote diverse considerazioni.

L'Europa League, per inciso, è andata a Milan e Atalanta che, tutto sommato, hanno fatto meglio della Fiorentina e del Torino. Gasperini potrà quindi proseguire la sua epopea orobica con un'altra cavalcata degna di nota a livello continentale - e il viaggio della Dea subentra di diritto nella prima valutazione fatta, a proposito della crescita del movimento -, e Gattuso potrà finalmente essere valutato per una stagione intera, nella sua completezza, peraltro non macchiata dal doverla iniziare con anticipo anche eccessivo rispetto a delle stagioni ormai logoranti non solo a livello fisico ma anche mentale. Quelli che dovranno essere invece rivalutati, in casa rossonera, appartengono alla dirigenza che tanto entusiasmava - a ragione - un anno fa per via delle sue spese, e che oggi inevitabilmente sono in discussione dopo una stagione senza vittorie e conclusa con un solo punto in più rispetto alla precedente. Anche in questo frangente, però, ritengo che il giudizio debba essere procrastinato, almeno di un anno: ogni (de)merito, soprattutto se dirigenziale, va assegnato tenendo conto sia delle vacche magre che di quelle grasse. Sempre per le società che contemplano ambo le epoche storiche: in tal caso, però, mai definizione + più azzeccata per il Milan, che deve convincersi di essere (stata) una grande, che ora deve lavorare come una piccola che vuole tornare ad esserlo. Principio elettivo, più che selettivo, che vale anche per le tre squadre che lasciano la Serie A, e tornano in B, pronte e speranzose di fare il percorso opposto già tra 12 mesi: se per Benevento e Verona, però, questo destino era inevitabile, è più difficile capacitarsene per il Crotone capace di fermare Juventus e Lazio nella fase più delicata della sua intera esperienza in massima Serie. 

Ce l'ha fatta invece la Spal (che, per completezza di informazione, ha fermato anch'essa due squadre come Inter e Juve), grazie all'organizzazione di gioco ma anche ad una difesa migliore: 7 gol subiti in meno, se hanno un peso specifico importante nelle alte sfere della classifica, possono avercelo immane se si parla di zona retrocessione. Arrivederci a loro, e bentornate soprattutto a Empoli e Parma. Un abbraccio virtuale, oltre che fantacalcistico, ai loro protagonisti, presenti e futuri, che nella storia di questo fantastico gioco del gioco del calcio hanno sempre profuso singolarità indimenticabili e che torneranno a farlo da qui a tre mesi. Quelli che ci separano dalla prima giornata della prossima stagione, e che scorreranno via assai più intensamente per via del calciomercato che già ringhia (e Buffon va al PSG per provare a vincere la Champions, lo sapevate? E come mai non ci riprova con la Juventus che globalmente vale molto di più dei francesi? Boh: avremo modo di parlarne) e del Mondiale.

Che, per una volta, guarderemo da semplici spettatori ed appassionati. Non ce lo siamo meritati, ed in attesa che Ventura ci risponda - sono passati diversi mesi, tra l'altro - a qualche inevitabile domanda, abbiamo cambiato tecnico, affidandoci a Roberto Mancini. Lui, invece, inizierà quest'avventura già tra qualche giorno, visto che vedremo la sua e nostra Nazionale, all'opera, in tre diverse amichevoli. Ci sarà anche Balotelli, che invece il ritorno in Nazionale lo meritava eccome, visto che in 4 anni ha espiato eccome i suoi tanti errori. Li ha fatti lui, li ha fatti Ventura, li ha fatti il Napoli, li ha fatti la Lazio, li ha fatti il Crotone: siamo esseri umani, mica macchine. Li paghiamo, poi ci guardiamo allo specchio facendo autocritica, e andiamo avanti, con un occhio speranzoso rivolto al futuro. Quello è garantito (quasi) per tutti. L'importante è crescere, come sta facendo, molto gradualmente, il nostro intero movimento calcistico.