In filosofia, il 'risultato' è il punto d'arrivo di un qualsiasi sillogismo svolto con procedimenti logici. I dati di partenza che vengono elaborati vengono chiamati 'premesse'. Qualcosa di molto simile rispetto a quello che è il risultato in ambito sportivo. E, nella fattispecie, calcistico.

Con la sottile differenza che la premessa è l'aspettativa, la proiezione dello stato di forma, il valore assoluto delle contendenti, il peso specifico dell'importanza che entrambe danno alla partita. Banalmente, anche una sorta di pronostico. Ma tra la premessa ed il risultato, in ambo i casi, c'è uno sviluppo lungo, nella migliore delle ipotesi, 90 minuti. Tanti, tantissimi se si considera che, in quel lasso temporale, può succedere praticamente qualsiasi cosa. Anche che un'Udinese rabberciata, e messa in piedi in una manciata di giorni da un nuovo allenatore, vada in vantaggio allo Juventus Stadium. E' sufficiente che Hernanes - sempre più corpo estraneo di questa squadra, al pari di Mandzukic - svirgoli uno stop e Buffon torni per un certo periodo un portiere normale, con le sue fisiologiche debolezze, affinché accada. Poi, da questa 'premessa' in avanti, il capovolgimento del 'risultato' - per quanto prevedibile visti i valori in campo - passa attraverso una lunga serie di episodi, che possono essere più o meno meritati e meritevoli. Ieri, ad esempio, alla Juventus non è servito il solito Higuain, né l'infinita propulsione di due cursori fenomenali come Cuadrado e Alex Sandro, né tantomeno un inserimento di Khedira o una palla all'ambrosia di Pjanic. No, perché è arrivato il momento di Dybala: due palle da fermo a totale disposizione della Joya, due gol, e risultato acquisito. Senza sussulti, senza mirabili apici d'inarrivabile gioco. Freddezza, decisione, cinismo, cronica abitudine alla vittoria: gli ingredienti sono sempre gli stessi. Anche quando almeno una delle premesse - la disposizione in campo - viene meno. Erano tante, ieri, le defezioni: Chiellini fermo, Rugani ancora indisponibile, Bonucci non al meglio. E poi Khedira, Dani Alves, Pjanic e lo stesso Higuain reduci dalle fatiche nazionali (alcune transoceaniche). Insomma, l'occasione buona per Allegri di tornare al suo primo amore: la difesa a 4. Senza, però, osare, portando Cuadrado alla stessa altezza delle due punte. In campo, nonostante alcune fugaci transizioni al centrocampo a 5 con un improponibile Alex Sandro intermedio sinistro, il modulo base per larghi tratti dell'incontro è stato il 4-4-2. Un abito che, in attesa del rientro anche di Pjaca, sembra adattarsi sempre meno alla Signora, che ormai da oltre 5 anni ha talmente tanto metabolizzato il 3-5-2 da fare fatica a vestirsi di qualsiasi altro modulo. Lo si era intuito anche a Palermo, dove il tecnico era addirittura arrivato a spostare Mandzukic sull'esterno sinistro, pur di dargli spazio insieme al Pipita nel 4-3-3. Insomma, tutte le premesse - compreso lo 0-1 di Jankto - le erano a sfavore. Diversamente, però, dal risultato finale, che ancora una volta è stato portato a casa. E, onore al merito, senza neanche un eccessivo sforzo, fisico e psicologico. Sta tutta in questo sviluppo la forza della Juventus, che ormai da una vita riesce a fare tutto ciò che le altre sue contendenti non riescono a fare: ovvero, vincere pur senza giocare bene. La stessa Roma ha vinto ieri al San Paolo quella che sinora è stata probabilmente la sua migliore gara della stagione, ma per farlo non solo ha dovuto spremersi al 200%, ma anche mettere sul piatto ogni sua risorsa, tecnica e tattica, sfoderando un gioco a tratti impressionante, necessario per battere a domicilio un Napoli ancora troppo ancorato al suo modo di giocare, per (provare a) vincere senza adoperarlo. E Napoli e Roma, da questo punto di vista, sono troppo simili per non essere appaiate, oltre che in classifica (14 punti contro 16), anche nel destino. E' nella filosofia di Sarri e Spalletti, d'altra parte. Due tecnici fautori d'un gioco offensivo e spettacolare, avvolgente e "felice", nel senso emotivo del termine. Insufficiente, a conti fatti, per cospargere di rose il proprio red carpet: almeno in Italia. Dove, fateci caso, la squadra vincitrice dello scudetto quasi mai è stata quella maggiormente osannata dai critici: negli ultimi quindici, aggiungo, le uniche due squadre ad aver unito a sé entrambe le virtù sono state il Milan (di Ibrahimovic, Seedorf, Robinho e Cassano) nel 2011 e la stessa Roma (di Totti, Batistuta, Cafu e Candela), dieci anni prima. Nessuna delle due, però, aveva la virtù principale di questa Juventus: essere infinitamente beffarda e mercuriale. Non ci credete? Nell'ultima sfida tra Udinese e Napoli, nell'aprile scorso, Sarri e Higuain persero la testa, la squadra azzurra la partita (3-1) e con essa anche la definitiva rincorsa scudetto. Poche settimane fa, invece, la Roma giocò una delle sue migliori partite della seconda era Spalletti, e spazzò via i friulani all'Olimpico (4-0). Entrambe, a differenza della Juve, se non giocano bene perdono, o comunque non vincono: se invece ci riescono, quando gli avversari - a prescindere dalla loro natura, ambizione o statura - non riescono a prender loro le misure, non solo vincono ma dilagano. E non è un caso neanche se, a fine campionato, sia i giallorossi che gli azzurri finiranno davanti all'attuale capolista in quanto a gol realizzati. Cosa, peraltro già accaduta in passato.

Si vince vincendo, non giocando al massimo, almeno in Italia. Lo dice la classifica, che da 10 anni vede in cima alla fila la squadra che chiude anche con la porta maggiormente inviolata. Lo dicono le partite come quelle di ieri, diversamente intense e virtuose, ma similmente interessanti per i messaggi che hanno lasciato intendere e realizzare. Chi vorrà (provare a) mettere in difficoltà la squadra che è già davanti a tutte - e peraltro già di un dirupo (5 punti) - dovrà imparare a vincere anche quando le premesse non sono le migliori. E per portarsi a casa il bottino pieno, attingere ad ogni propria risorsa tecnica. Ad oggi, peraltro, se la Roma deve ringraziare l'inaspettato stato mentale e di forma di Dzeko, il Napoli non ne ha tantissime: ecco perché, forse, mettersi in casa un cinico - ovviamente nel senso positivo del termine - come Klose, potrebbe essere più che utile. Non solo per stuzzicare l'ego, talvolta traballante, di Gabbiadini, ma anche per garantirsi qualche gol 'facile' in più. Quelli che Higuain non può più garantire, e che Dybala fa apparire tale, mentre in realtà dietro ogni suo calcio, sia esso da fermo che in movimento, c'è un infinito bagaglio tecnico. Oltre che una squadra talmente abituata a vincere, da non poterne più fare a meno.