Non tutti i record, nel calcio, sono fatti per essere infranti.

Alcuni durano per anni, poi per decenni, sino a diventare pietre miliari e punti di riferimento stabili, consolidati, inarrivabili. Almeno fino a quando la linea del tempo non si piega su sé stessa, compiendo una roboante piroetta, che sposta ogni coordinata e ridefinisce gli standard.

Ieri sera, al San Paolo, è successo esattamente questo. Dopo 66 anni, durante i quali in Italia il calcio è cambiato almeno una decina di volte e la sua storia è stata rivoltata come un calzino, anche l'ultima delle milestones è spontaneamente rotolata giù dalla montagna del tempo. Pesante, levigata, imponente. Pronta a farsi sostituire da una anche più grande, il cui reale significato, nella migliore delle ipotesi, verrà effettivamente compreso solo tra altri 66 anni.

Higuain prende il posto di Nordhal - non uno qualsiasi - ed il presente si sostituisce al passato. Il Pipita, pur non vincendo il titolo, strappa il primato ad un pentacapocannoniere della massima serie italiana col quale, a livello tecnico-tattico, condivide solo una fame atavica di gol e l'andatura, non proprio da valchiria, ma piuttosto corta e rapida, quasi ondeggiante. Già, perché il ragazzo di Hörnefors che vinse due volte lo scudetto in maglia rossonera negli anni '50 era piuttosto un unicum antropologico della sua epoca. Tozzo ma agile, ruvido ma corretto, era in grado di travolgere letteralmente chiunque si frapponesse tra lui e la porta avversaria. Nel suo bagaglio tecnico, colui che in Italia rinominarono 'bisonte', aveva anche un'arma letale - il tiro potente, rasoterra - che ne fece in breve termine il “missionario della rasoiata”. Tutte caratteristiche che non a caso gli consentirono di dare il meglio di sé solo in tarda età, per un calciatore, ovvero tra i 28 ed i 35 anni, durata della sua esperienza a Milano.

Higuain, invece, 28 anni li ha solo adesso. Ha seguito la crescita tipica, ed esponenziale, di ogni altro calciatore, e non è detto che riesca a prolungare e confermare questi terrificanti standard per altri 7 anni ancora. Certo, i gol, il ragazzo nato a Brest quasi per caso, e che per questo disse 'no' a Domenech ed alla Nazionale francese, li ha sempre fatti. Sin dagli esordi ai tempi dell'Atlético Palermo, club dell'omonimo quartiere di Buenos Aires, da cui il River Plate lo acquistò all'età di 10 anni e prima di farlo esordire, a soli 17, in Primera Divisiòn. 7 stagioni a Madrid, in cui va in rete 121 volte, non sono certo dimenticabili, ma è oggettivamente a Napoli che questo tuttofare dell'area di rigore diventa sé stesso. Perché Higuain, e questo si fa fatica a riconoscerlo, è l'unico dei mostri offensivi in grado di fare tutto e in ogni momento. Lo stesso Suarez, che è riuscito per pochi centri a strappargli la Scarpa d'oro, è molto meno completo e, soprattutto, molto meno in grado di dettare i tempi della manovra con egual costrutto e senso tattico della presenza, propria e altrui.

E' una piovra, il Pipita. Raccatta palloni in ogni dove - anche con l'ignoranza del centravanti di mestiere - , e ne struttura il futuro prossimo con metodica analisi, quasi come se non vi fosse alternativa diversa dal gol. L'esemplificazione di tutto ciò sta nell'ultimo, in ordine cronologico, dei suoi centri: una palla stoppata solo apparentemente male, al limite dell'area, ed a difesa schierata, che potenza, tecnica, agilità, forza di volontà e capacità d'improvvisazione in simbiosi hanno saputo trasformare in un bolide scaraventato sotto la traversa. Quasi a infrangere l'onda d'urto del tempo e l'intransigenza del destino: che, forse, ancora per altri decenni voleva veder volare alto il nome di Gunnar ed a lui avrebbe voluto concedere solo il (grande) merito dell'ex aequo. Un diritto negatogli, in merito al riconoscimento relativo al miglior bomber stagionale d'Europa, che solo in virtù della sua collocazione geografica. Sempre più facile, statisticamente, d'altra parte, che la palma venga concessa in Liga, dove la prima e la seconda in classifica segnano rispettivamente 112 e 110 gol, e non in Italia, dove la Juve ha chiuso la stagione con 'soli' 75 centri, seguita dallo stesso Napoli con 80. Un limite strutturale e logico che in ogni caso Gonzalo Higuain avrebbe saputo superare, se non avesse letteralmente perso la testa in quel di Udine.

L'obiettivo, per i tifosi azzurri e per il calcio italiano, adesso, è riuscire a convincerlo. Anche in azzurro, se la società lo vorrà, e se le circostanze lo consentiranno, sarà possibile vincere ciò che il Pipita merita. Il rimpianto per non essere riusciti a vincere nella migliore annata sua e del Napoli, d'altra parte, non può non essere enorme, ma se tutto questo accade nella prima stagione in assoluto, in Serie A, in cui le prime tre classificate raggiungono tutte almeno gli 80 punti, significa che anche il fato ci ha messo del suo. Ma il fato, cari miei, è lo stesso che ieri, al 71', è stato abbattuto ed i cui piani sono stati ribaltati, da una rovesciata imprevista e bellissima, fuori dai canoni e dagli standard, oltre che dal comune. Figlia della fame, più che del talento, di chi sa di seminare tanto, pur raccogliendo poco. Una sensazione che spesso lascia vuoti, ma non soli ed emarginati. C'è e ci sarà sempre un popolo intero, ad acclamarlo, per i suoi ruggiti d'orgoglio e per questa sua innata capacità di dominare le fragorose onde del destino con la maestria e la leggiadria del navigato surfer.

A cui adesso, però, servirà regalare una tavola ancor più performante per continuare a infrangere i cavalloni di questo mare burrascoso e bellissimo, nonostante le avversità e il maremoto. E nonostante il destino. Perché Gonzalo Higuain non è stato e non sarà mai l'uomo del destino: non lo ha mai assecondato, non ne è mai stato il figlio prediletto. Tutt'altro. Quelli affamati come lui, il destino piuttosto lo prendono a schiaffi. Fino a ribaltarne le profezie.