783 giorni. Tanto è durata l'ultima striscia positiva in campionato della Juventus a casa sua, dove ormai da quando è stato eretto e inaugurato - era l'8 settembre 2011 - il fortino è rimasto tale, oltre che protagonista praticamente di tutti gli scudetti infilati, uno dopo l'altro, dalle bande Conte & Allegri. L'ultima volta fu l'Udinese, il 23 agosto del 2015: gol di Thereau allo scadere. Unica gemma, da sommare a quelle precedentemente raccolte da Inter e Sampdoria. Contro quella che, però, ancora non era la Juventus formato europeo che è quella odierna, reduce da due finali di Champions e abituata a comandare, dominare, o addirittura a passeggiare, tre le mura amiche. Che stavolta, però, hanno visto come protagonista una squadra che di farla passeggiare no aveva proprio voglia.

Gliel'aveva fatto capire qualche settimana fa, in Supercoppa, quando finì 2-3 per mano, ovviamente, di Immobile, della doppietta di Dybala e della punzecchiata, inaspettata, di Murgia. In quell'occasione la Joya ebbe l'occasione di battere un rigore al 91' che sarebbe valso il 2-2: proprio come oggi, quando al 95' un Patric che sembrava più - per movenze e caschetto biondo - il Patrick Ray Pugliese che vomitava nella suite del grande fratello, che il Patricio Gabarrón Gil che s'è fatto una lunga e travagliata trafila nelle giovanili del Barcellona. E che, inopportunamente e sconsideratamente, stava per regalare il pareggio ad una Juventus che, mai come oggi, non lo avrebbe meritato.

La Lazio, difatti, ha giocato per l'intera partita con dedizione e cattiveria agonistica, lasciandosi andare a delle folate offensive di rara efficacia come sempre orchestrate da un terzetto più che mai anomalo, che però è riuscito perfettamente a rendersi omogeneo e complementare. Opera di un architetto della panchina come Simone Inzaghi, il miglior giovane allenatore in Italia ma forse anche d'Europa, riuscito in neanche un anno e mezzo di Serie A e prima squadra a trasformarsi in uomo dalle idee non visionarie ma concrete, applicabili, funzionali ai suoi uomini. Tutti, nessuno escluso, messi in condizione di rendere al meglio: a partire da Strakosha, eroe dell'Allianz, fino ad arrivare a Bastos, monumento difensivo contro Mandzukic e compagni, sino ad arrivare ai redivivi Lulic e Leiva, alla "fioritura" di Milinkovic, Alberto e Marusic ed al momento di splendida forma vissuto da Ciro Immobile. Che non segnava così tanto neanche ai tempi di Zeman, ma che soprattutto mai ha attraversato periodi in cui s'è reso protagonista di una leadership tale da oscurare quella di tutti i migliori bomber della Serie A. Calcio semplice e immediato, ma non per questo poco piacevole. Fatto sì di continue verticalizzazioni, ma anche di giocate estemporanee e di compattezza. La Lazio di Inzaghino (che Pippo, per inciso, non ha mai rispettato e venerato, oltre che seguito, come adesso) è fucina di talenti e di risultati, nonostante gli investimenti di Lotito siano sempre miseri e la rosa messagli a disposizione corta e troppo spesso dedita agli infortuni.

E' così che ci si riscopre eroi e calciofili della Capitale, a soli 41 anni, dopo una carriera passata per troppo tempo tra panchina ed infermeria, nonostante gli acuti. Ed un sogno, sempre ben scolpito, in testa: fare della tattica e della motivazione le proprie armi migliori, e del calcio, ancor più di prima, una ragione di vita.

C'è riuscito, Simone da Piacenza, dopo aver battuto 2 volte in 3 mesi la grande Juventus, che ora è costretta a guardare dal basso la mini fuga della capolista Napoli, che contro l'altra romana, invece, veste i panni della Signora, gioca una partita pragmatica e quadrata, soffre relativamente poco e porta a casa quelli che, per il momento, sono i suoi tre punti più pesanti della stagione. Perché non solo vengono direttamente dal campo più difficile dove sinora abbia giocato, ma perché coincidono, clamorosamente, con la caduta altrui. Consentendo a Sarri e a i suoi di stagliarsi altissimo, in classifica, dopo un filotto di vittorie che, da agosto, non s'è ancora mai arrestato. Merito del Napoli i 24 punti in 8 giornate; merito della Lazio se, invece, la Juventus è solo a quota 19. 

E dire che quando Thereau ammutolì lo Stadium, l'architetto Inzaghi ancora allenava i ragazzi della Primavera biancoceleste. Chissà se si sarebbe mai immaginato che sarebbero serviti due anni per replicare l'evento.

E che, soprattutto, sarebbe stato per mano sua e dei suoi ragazzi.