Quindi, pronostico rispettato. Crotone e Verona hanno offerto relativa resistenza, rispetto a Napoli e Juventus, e alla fine sono capitolate. Non poteva essere altrimenti, visti i valori tecnici in campo, ma soprattutto le motivazioni delle due capofila. Duellanti, anche quest'anno, presumibilmente sino alla fine, visti i tanti - troppi - passi falsi di Inter e Roma, che hanno tenuto la strada delle primissime fin quando hanno potuto. Poi, però, le differenze sostanziali sono venute fuori. Così come lentamente pare poter venirne fuori anche il Milan. Non tragga in inganno il poco gioco che, a conti fatti, ha mostrato il nuovo Diavolo di Gattuso, sin da quando Ringhio è in sella: se è per questo ne aveva relativamente poco anche quando Montella vinceva la Supercoppa e arrivava in Europa League, con la differenza che la tenacia, la tenuta mentale e la voglia di rivalsa facevano la differenza. Tutte briciole di rinascita che Suso e compagni hanno mostrato sia nel derby di Coppa Italia che al Franchi, dove per la prima volta sono riusciti a rimontare (parzialmente) un risultato negativo. Cosa che invece riesce benissimo all'Udinese di Oddo: la vera, bellissima rivelazione di fine 2017, le cui lodi ha già avuto il piacere di cantare. Così come solo lodi merita il percorso della Lazio, che è impattata sull'Inter che, stavolta, davvero non poteva perdere. Alla fine Immobile e Icardi non hanno punto, e i loro scudieri Perisic e Luis Alberto neanche. A reti bianche s'è quindi conclusa la sfida di San Siro: risultato giusto, che rimanda al futuro prossimi i sogni Champions di entrambe. Già dalla prossima, quindi, sarà 2018 e girone di ritorno. Nel mezzo del cammin di vita del campionato, quindi, non è già più tempo di bilanci. Molto più interessante, piuttosto, ho sempre trovato la possibilità e l'azzardo di cercare di immaginare quello che sarà. In funzione delle cose che cambieranno, in meglio o in peggio, e di quelle che, invece, verranno semmai consolidate. 

Insigne e Higuain: vecchi rancori? (getty)

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1) NAPOLI E JUVENTUS. Chi si aspettava una Juventus più concentrata sulla Champions che sul campionato, ed un Napoli in ricrescita di gioco dopo, al contrario, l'esclusione dalla Champions, è già stato smento. E così sarà anche nel 2018. Almeno sino a quando le partite europee - magari anche dopo quella contro il Tottenham, che la Signora ha i mezzi per superare agevolmente - non entreranno nel vivo. Ecco perché nelle prime di ritorno se Sarri vuole coltivare il sogno più grande, deve spingere il più possibile sull'acceleratore. Magari chiedendo al suo Presidente uno sforzo per avere in rosa un terzino ed un esterno offensivo in più (Verdi e Darmian sarebbero l'ideale), oltre a Inglese. E sforzandosi, a sua volta, nell'imparare la sacra arte del turn-over. Una capacità tipica delle grandi squadre, abituate a giocare fino alla fine su più fronti, e che il suo rivale Allegri invece conosce alla perfezione. Per questo duelleranno all'ultimo sangue. Ed anche all'ultimo punto, visto che di fatto ora ricomincia un altro campionato: il Napoli ha sì un punto in più, ma avendo perso lo scontro diretto, ed avendo il ritorno fuori casa, è come se questo famoso punto in più non l'avesse.

Ripartire, possibilmente da Schick (getty)

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2) ROMA. Quarto posto, 39 punti, potenziali 42 (e terzo). Il cammino di Di Francesco è stato costante, lineare, ma purtroppo mai capace di mostrarsi nella sua intrinseca bellezza. Colpa della sterilità di Dzeko, che s'è fermato da troppo tempo, degli acciacchi di Nainggolan, ma anche della condizione di Schick. Che finalmente, dopo mesi, sta ritrovando continuità e campo, ma non è ancora neanche un decimo del valore aggiunto che rappresentava a Genova. Un centravanti, ma anche uno capace di aprire gli spazi e le difese, rifinire la manovra e, appena possibile, concluderla. Starà nella realizzazione a tutto tondo del giovane ceco in una big la vera discriminante di riuscita del 2018 di Di Francesco: l'insistere sul suo collocamento da esterno destro, in ogni caso, non aiuta. E meno male che Alisson s'è dimostrato molto, molto meglio di quanto ci si aspettava, che Kolarov in quanto a rapporto qualità / prezzo s'è dimostrato uno dei migliori acquisti della storia recente del nostro calcio, e che Florenzi è tornato quello d'un tempo.

3) LAZIO E INTER. Sono esattamente quelle che si sono scontrate ieri a San Siro: spudorate ma solo a tratti, arrembanti quando sono in giornata. Ma, soprattutto, solide a livello difensivo e ben allenate. Questi i capisaldi del loro girone d'andata, che faranno la differenza anche nel girone di ritorno: fermo restando che l'impressione è che la Roma alla lunga - anche per una questione di alternative - possa raggiungere agilmente il terzo posto, il quarto se lo contenderanno all'arma bianca. E quindi, no, non cambieranno. E la differenza la faranno non Icardi e Immobile, ma piuttosto chi, tra i loro fidi scudieri (vedi Luis Alberto, Milinkovic, Perisic, Candreva e Anderson) riuscirà a dare un maggior contributo alla manovra offensiva. Sempre a meno che de Vrij non vada via a gennaio: un handicap che in quanto a tenuta difensiva neanche un fine stratega come Inzaghi riuscirebbe a risolvere.

Calhanoglu e Cutrone: due armi su cui ricostruire (getty)

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4) MILAN. Ecco un primo, possibile, cambiamento. Ed in positivo. Non solo per una questione di sensazioni, ma per esclusione: anche perché peggio di quanto fatto nel 2017 non si può fare. Eppure ci sono degli strali sottilissimi che possono lasciar intravedere un miglioramento, seppur non sostanziale: nonostante un gioco imbarazzante, un assetto difensivo miserrimo, ed un approccio psicologico alle partite quasi sempre sbagliato, una campagna acquisti rivelatasi fallace, un cambio di allenatore travagliato ed una società traballante, questo povero Diavolo è ancora in corsa in entrambe le Coppe, e a 5 punti dal sesto posto che varrebbe l'Europa League. Un traguardo che, se simbiotico rispetto ad un cammino europeo soddisfacente (anche a livello di entrate) potrebbe ridare un pizzico di dignità a questo anno zero. Che dopo sei mesi di smantellamento, rifacimento e devastazione, per la prima volta si rende vagamente interpretabile in maniera identitaria. Gattuso, a differenza del suo predecessore, ha scelto finalmente un modulo, almeno 8/11 di formazione titolare, ed ora ha solo un altro paio di obiettivi: riconsegnare André Silva e Calhanoglu al loro potenziale valore. Appunto, potenziale e non reale: perché questo ancora non lo sappiamo. Quel che è certo, è che il turco da esterno sinistro del tridente nel 4-3-3 (o meglio ancora, dietro la punta nel 4-2-3-1) può iniziare a dare il suo contributo. E che non arriverà mai troppo tardi il momento in cui qualcuno si deciderà a panchinare stabilmente Kalinic a vantaggio di Cutrone.

Barak, simbolo e trascinatore dell'Udinese di Oddo (getty)

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5) UDINESE. Prima, stupenda, esaltante rivelazione. Non del 2017, ma delle ultime 5 settimane. Quelle in cui sono arrivate peraltro 5 inattese vittorie, che hanno ribaltato completamente la classifica di Lasagna, Jankto e compagni. A cui è bastato iniziare a giocare a calcio, come Oddo sa di poter fare e ha sempre mostrato di voler fare. Trascinatore indiscusso, Barak: un ragazzo il cui futuro roseo è già alle porte, visto che almeno uno tra lui e il suo connazionale verrà sacrificato, in estate. Sino ad allora, ovviamente, insieme alle incursioni di De Paul e Lasagna continueranno ad alimentare insperati sogni europei. Quel che è certo è questo rendimento, prima o poi, cambierà, anche perché altrimenti parleremmo di miracolo: l'assenza di un vero e proprio centravanti d'area, dai numeri (e dai centimetri) pesanti potrebbe farsi sentire. Soprattutto quando nessuno dei gioiellini bianconeri riuscirà a trovare la giocata giusta. E Maxi Lopez e Perica, in tal senso, non sembrano poter avere reali chances di candidarsi a livelli se non alti, quantomeno adatti a quelli di chi gli ronza intorno. Non è un caso, d'altra parte, se spesso sinora il tecnico s'è affidato all'attacco, leggerissimo, De Paul - Lasagna.

6) BENEVENTO. Per ora lo metto tra i possibili cambiamenti, pur consapevole che una rondine non fa Primavera. Ma i tre punti conquistati al Vigorito contro il Chievo hanno un peso psicologico superiore, rispetto a quanto abbia semplicemente alterato un record negativo che sembrava non potesse mai sfiorire: questa squadra ha realizzato di poter avere la capacità di reagire. Cosa che già aveva fatto con miracolo - quello sì - di Brignoli, qualche tempo fa. E sempre in casa, dove pezzetto dopo pezzetto, punticino dopo punticino, potrebbe iniziare a costruire non la sua salvezza - per quella non c'è più tempo - ma almeno la sua rincorsa alla dignità rispetto al campionato a cui partecipa. Il calciomercato la dirigenza l'ha già iniziato, e con determinazione e convinzione: in tre sono già prossimi ad imparare da De Zerbi, e la società non sembra volersi fermare. Anche se, come sembra, il suo uomo di maggior valore, Ciciretti, decidesse di andarsene subito (per poi cosa? Fare panchina al San Paolo?). 

+1) BONUS: MONTELLA. In Spagna da 48 ore, l'aeroplanino non c'ha messo tanto a ripartire. Anzi, pochissimo, in confronto ai suo colleghi, che mediamente dopo un esonero (e pesante) ci mettono dai 6 ai 12 mesi prima di trovare una nuova squadra. Il Siviglia ci ha pensato poco, l'ha chiamato, l'ha voluto, e se l'è preso. Il DS andaluso ha detto di lui: "Il suo calcio si confà a questa squadra". Dice bene, anche perché l'idea di calcio di Montella, troppo "filosofica" e troppo poco pragmatica per la Serie A, sembra invece fatta a puntino per la Liga. Dove la manovre organiche, gli scambi leziosi ed il possesso palla fanno servizio di ronda, e dove la rosa sembra potergli calzare alla perfezione. Ritroverà Correa e Muriel (insieme ai quali in realtà a Genova non ha fatto benissimo), proverà a riscoprire Vazquez, oltre che a far coesistere Banega e Ganso. Non facile, tutt'altro: ma le potenzialità per riscoprirsi, in un mondo nuovo ma più facile da scalare, ci sono tutte. L'importante sarà non guardarsi indietro: allo scempio fatto nell'ultimo semestre milanese, ma anche alle spalle. Perché nella non foltissima bacheca dei trofei dei rojiblancos, buona parte di questi arrivano dalle giocate di un suo acerrimo nemico di nome Carlos Bacca.