Gabriele Gravina, presidente della FIGC, ha parlato nel corso di un'intervista concessa al Corriere dello Sport del momento che sta vivendo il calcio italiano e della Nazionale pronta per i play-off.

Gravina sul calcio ed il Covid-19

Pandemia? «Una montagna che iniziamo a scalare – risponde il presidente della Figc -. Il protocollo sanitario è una vittoria. La soglia del 35 per cento di contagiati ci pone al riparo da divieti difformi delle singole Asl. Non accadrà più che si giochi con undici positivi e si resti bloccati per tre. È una garanzia che il virus non intaccherà d’ora in poi la regolarità della competizione». 

 
Ma dal governo avete qualche garanzia sulla riapertura degli stadi? 
«La garanzia è il dialogo istituzionale. Il limite dei cinquemila spettatori è stato un atto di responsabilità. L’auspicio è che, usciti tutti vaccinati dal picco, si torni a una capienza del cento per cento. Il calcio si confermerebbe apripista della sicurezza e della normalità». 

Gravina sui debiti dei club italiani


 
Le parole di Commisso sui debiti le condivide? 
«No, perché per fare mercato bisogna rientrare in precisi indici di liquidità. Un conto è allarmarsi per il debito, un altro è dire che uno vince perché ha barato. E stendo un velo pietoso sui giudizi morali che Commisso dà della classe dirigente. Dopodiché dobbiamo mettere il sistema in sicurezza. Le norme da noi già varate riducono il margine di investimento a debito, vincolandolo sui ricavi. Le renderemo ancora più stringenti. Anche per fugare sospetti e illazioni che fanno male allo sport». 
 
Ma perché la grande impresa italiana gira al largo? 
«Perché non siamo ancora un sistema sostenibile. La cronicizzazione del disavanzo non aiuta». 
 
Due procure indagano su Juve e Inter, ma non sono certo solo loro a fare plusvalenze. Teme una slavina? 
«Le plusvalenze fanno parte della vita attiva dell’impresa. Vanno perseguite quelle truffaldine. Aspettiamo che la magistratura chiarisca, ma non facciamo di tutta l’erba un fascio. Poi stiamo studiando se eliminare le plusvalenze dagli indicatori di bilancio per autorizzare nuovi investimenti sportivi». 
 
 
Come ci si difende dai procuratori monstre? 
«Bisognerebbe chiederlo a quei presidenti che sono accondiscendenti con loro. Diventano così ricchi e potenti perché qualcuno li paga. La Figc è stata la prima federazione a proporre un principio di controllo su provvigioni e intermediazioni. Ma serve una decisione internazionale della Fifa. Altrimenti se io pongo un tetto, non faccio che favorire il mercato straniero». 

Gravina sulla riforma dei campionati


 
La riforma dei campionati si è arenata tra i veti della Lega e gli incerti della pandemia? 
«No, aspetto che si compongano i nuovi organi della Lega Dilettanti, poi si parte. Entro il 30 giugno si cambia. Dobbiamo mettere in sicurezza il sistema, vuol dire puntare alla sua sostenibilità». 

Gravina sul VAR


E' caduto nel vuoto il suo appello a verificare al Var tutte le decisioni dubbie. Gli arbitri mostrano un’idiosincrasia per la tecnologia? 
«Ribadisco l’invito, il Var c’è per essere usato tutte le volte in cui può aiutare. Poi occorre separare le carriere e la formazione professionale in maniera netta: l’arbitro in campo è un profilo diverso dal collega davanti all’occhio elettronico. E da ultimo bisogna tutti studiare meglio il regolamento, e questo vale anche per i club». 
 
Il challenge è caduto nel dimenticatoio prima di essere testato? Sarà che non piace a Collina? 
«Noi l’abbiamo proposto, la sua contrarietà è motivata dal fatto che tutti gli episodi vengono visti dagli arbitri. Io penso che dare un paio di chiamate all’allenatore fugherebbe quei sospetti che continuano a inquinare il dibattito sul calcio giocato».

 

Gravina sulla Nazionale


 
La sua dirigenza inizia con il tonfo della Nazionale di Ventura. Teme che una nuova esclusione dal Mondiale possa metterla in discussione? 
«Neanche per sogno. Se tutto dipendesse dai risultati, la vittoria agli Europei varrebbe quanto un bonus di quattro anni. Ma non tiro io i calci di rigore. Il sistema che ho trovato non aveva prospettive. Oggi siamo nel cuore di un rinnovamento che non si fermerà, a prescindere dai risultati. Certo, mi dispiacerebbe non centrare il risultato, ma non sono preoccupato per me. Vado avanti». 

 
Però il rischio di restare fuori non è basso. Se l’Italia esce, Mancini lascia? 
«Questo lo valuteremo insieme, ma il percorso avviato con Roberto non è legato a un singolo risultato. C’è un progetto che ha già dato risposte importanti, in termini di entusiasmo e rilancio dell’immagine della Nazionale».  
 
Non sente attorno a sé aria di sfiducia? 
«Sì, c’è un po’ di scetticismo. Ma lo sfidiamo stando insieme. Io ci credo. Ci vediamo a fine mese e facciamo gruppo, come sappiamo fare noi». 


Joao Pedro e Luiz Felipe entrano in corsa? 
«Decide il ct. Per noi sono azzurri». 

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