Erano gli anni di un pallone che poteva far vincere lo scudetto pure al Verona, senza offesa. Quelli che volevano la divinità Maradona vedersela con chiunque. Ogni squadra aveva un nome, un simbolo, un uomo d’ordine, un talento e un mercato aperto, pure con quattro lire, che nemmeno il cambio dell’euro metteva il bastone fra le ruote.

 

In mezzo a una zuffa fangosa e romantica, frequentata da tipi affettuosi e spontanei, genuini, laddove franchezza e sincerità trovavano più spazio, poteva pure spuntare fuori la polemica a distanza e in diretta tra il self control man Enrico Ameri e il polemico trainer in salsa agrodolce che in quegli portò lo scudetto a Verona.

 

Correva la stagione 1984\1985, direbbero i nostalgici. Un campionato di calcio, punto e basta. Con la sorpresa Verona campione d’Italia, ma pur sempre un campionato di calcio.

 

Funzionavano le radio, funzionava “Tutto il calcio minuto per minuto”, la Rai aveva ancora un sapore da ministero e la difesa delle opinioni scivolava sulla buccia di banana e imparava l’equilibrismo sull’ironia e l’umorismo raffinato.
Allora successe che una bella domenica, di Napoli-Verona 0 a 0, le reti restarono inviolate soprattutto grazie a qualche bella parata di tale Claudio Garella, il “Garellik” che parava spesso coi piedi allungando le gambe talvolta con fare prodigioso e sorprendente. Portiere grosso grosso, altissimo e sgraziato, ma celebre per la sua efficacia. Si sa, l’efficacia è una cosa spesso sgraziata, alla quale non piace nemmeno perdere tempo.

 

In quella domenica, in un San Paolo piovoso e su un terreno a macchia di leopardo, il portiere che poi da gigante sarebbe diventato ingigantito, a causa della sua stazza forse un po’ troppo aumentata, in quella domenica di assedio azzurro negò più volte il goal a Maradona e compagni, fissando, con le sue parate, il punteggio sullo 0 a 0 finale.
Durante le interviste del dopopartita, Salavatore Biazzo raccolse il commento disturbato e polemico di Bagnoli, perché Ameri aveva attribuito a Garella i meriti del pareggio. Apriti cielo, perché Ameri interruppe la contestazione di Bagnoli e la polemica sulle parate del portiere veronese s’impadronì della scena, sulla partita più importante di quel turno di campionato.

 

 

 

Il litigio Ameri Bagnoli, la smorfia scontenta e pensierosa di Garella durante l’intervista di rito, il servizio della Rai e gli strascichi di polemiche simili a quelle sulla fortuna e sulla difesa veronese, condirono l’aspro imbarazzo tra i giornalisti e il tecnico veronese, al quale non andava giù che si mettesse in discussione l’operato della sua difesa, a suo avviso vera ragione delle sconfitte scampate. Ma Osvaldo Bagnoli dalla panchina, durante e dopo le partite, le cose le vedeva sempre a modo suo, nel bene e nel male.

 

L’anno successivo, con lo scudetto sulla maglia, dopo il derby di Coppa dei Campioni con la Juve, a causa di un arbitraggio che aveva danneggiato i gialloblu, Bagnoli disse a denti stretti, “Non fatemi dire cose pesanti, ci hanno preso per il culo. Se cercate i ladri, sono nell’altro spogliatoio”.

 

 

Le cose andavano così, con la faccia che pigliava la stessa espressione, e tutte le funzioni dell’ipocrisia facevano risultato zero, come i pareggi a reti bianche dove il merito era di portieri e difese, oppure di attacchi sgangherati.
E Osvaldo Bagnoli non si sottraeva alle ricette dell’antipatia, e allenare Elkjaer e Briegel dello scudetto o Pellegrini e Sotomayor della retrocessione con lo sgambetto al Milan era la stessa cosa. Curiosità, quello sgambetto al Diavolo di Sacchi, campionato 1989\1990, fu illusorio per una salvezza che poi non arrivò (il Verona retrocesse nonostante la vittoria che costò il titolo ai rossoneri). E chi ne beneficiò? Il Napoli, che vinse lo scudetto. Un’ironia della sorte che Enrico Ameri dovette di sicuro commentare con un non visto mezzo sorriso.

 

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka