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Quando, nel 2021, è uscito “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, in molti, andando al cinema, pensavano di trovare riferimenti calcistici ricorrenti nell’ultimo lavoro del cineasta napoletano. In quel caso, invece, il richiamo alla celebre giocata era solo un modo per ricollegare gli eventi, e intrecciarli con quelli del protagonista, alter ego cinematografico dello stesso Sorrentino.

Il calcio, a tutti gli effetti, non è mai stato particolarmente centrale nella storia della cinematografica tricolore: produttori, sceneggiatori e registi hanno spesso e volentieri utilizzato l’argomento per affrontare tematiche più ampie, personali, peculiari del modo unico con cui sappiamo fare cinema.

Se l’approccio non è quello – pur manieristico, ma efficace - di prendere le rime dal gioco per poi rappresentare elementi ricorrenti della nostra cultura, si è sempre storicamente virato sulla commedia (più o meno brillante, più o meno all’italiana). Eppure, anche nel nostro cinema, alcune chicche non strettamente comiche sono comunque reperibili: per questo oggi abbiamo deciso di individuarne cinque. Che, probabilmente, non avete (ancora?) apprezzato e di cui vi consigliamo la visione.

“L’uomo in più”, di Paolo Sorrentino, 2001. Con Toni Servillo e Andrea Renzi

Prima opera di Sorrentino, e sua prima escursione nel mondo pallonaro. Quello che per molti è addirittura il suo miglior lavoro, è ambientato nell’Italia degli anni ’80, e inscena le vicende dei due quasi omonimi Tony Pisapia (Servillo), cantante di successo, e Antonio Pisapia (Renzi), calciatore prossimo al ritiro per un grave infortunio. Narcisista e spavaldo il primo; riservato e sensibile il secondo, le loro storie vanno a incrociarsi in un attimo ben definito che ha quasi del catartico. La pellicola è ambientata a Napoli e ha come cornice sì il mondo dello spettacolo ma anche quello del calcio, non proprio limpido, di quell’epoca. Una scena girata al San Paolo e i tanti riferimenti sportivi, di campo e non, lo rendono a tutti gli effetti un film più amaro che dolce, ma perfettamente integrato nel nostro mondo.

Da recuperare assolutamente, una gemma di rara profondità che all’epoca valse a Sorrentino il Nastro d'argento come miglior regista esordiente.

“4-4-2. Il gioco più bello del mondo”, di Michele Carrillo, Claudio Cupellini, Roan Johnson, Francesco Lagi, 2004. Con Valerio Mastandrea, Gigio Alberti, Francesca Inaudi, Nino D’Angelo

Quattro diversi episodi, tutti ovviamente ambientati nel mondo del calcio, girati da quattro registi diversi (anche nello stile) ma con la stessa chiave narrativa: la commedia intelligente, ben scritta e trasversale. Si parla molto di calcio giocato e calciatori, di storie personali e leggere, ma tutt’altro che scanzonate.

Il fuoriclasse ribelle che prova a fare i conti con il rigore imposto dai contesti calcistici professionali; il triangolo amoroso (e geloso) tra l’allenatore, la sua compagna e una delle sue calciatrici; il procuratore alla caccia di nuove leve ma che deve fare i conti con la sua coscienza; il portiere a cui viene proposto di vendere la sua ultima partita.

Due ore che scorrono leggere e veloci come i toni di un film che, nella forma, richiama le modalità di un cinema d’altri tempi – la struttura ‘a episodi’ – ma che nel risultato finale si presenta autentico, moderno, efficace. Non a caso, presentato da Paolo Virzì.

“Piede di Dio”, di Luigi Sardiello, 2009. Con Emilio Solfrizzi

Ambientato nell’estate del 2006, quindi con Calciopoli e i Mondiali vinti dagli azzurri sullo sfondo, Piede di Dio vede protagonista un ex calciatore diventato scopritore di talenti. Il fato pone lungo la sua strada un ragazzino straordinario, ma immaturo, anche per via dell’abbandono da parte del padre e di un contesto di crescita e un modo di vivere la sua età molto semplici, che cozzano con gli archetipi e la struttura del pomposo universo che dovrebbe accoglierlo.

Si ride e si riflette, in questa che è anch’essa un’opera prima, come nei casi precedenti: l’istrionico Solfrizzi, l’allora giovanissimo e brillante Filippo Pucillo e un cast altrettanto adeguato completano un film che, ingiustamente, al botteghino non ha avuto il giusto ritorno.

“La partita”, di Francesco Carnesecchi, 2018. Con Francesco Pannofino, Alberto Di Stasio, Gabriele Fiore 

La periferia romana fa da cornice a questo, altro, esordio al lungometraggio che vede al centro della storia le vicende di una squadra di calcio giovanile. L’allenatore, il presidente e il capitano della Sporting Roma devono fare i conti con un momento focale e decisivo per le proprie vite e professioni: la squadra non vince e il contesto è corrotto, cinico, talvolta misero. Mai alla ricerca di sé stesso, se non negli scampoli di umanità che rappresentano le anime dei propri protagonisti.

Un titolo schietto, realistico, concreto, che al culmine diventa quasi un romanzo di formazione (ma di provincia) grazie all’ottima scrittura e al lavoro di traduzione a schermo di interpreti straordinariamente azzeccati e credibili. Da vedere e rivedere, per cogliere tutte le sfumature, tra l’altro, di un’ottima fotografia.  

“Ovunque tu sarai”, di Roberto Capucci, 2016. Con Francesco Pannofino, Alberto Di Stasio, Gabriele Fiore 

Un road movie a tutti gli effetti, raffinato come in Italia non si produceva da tempo: Carlo, Francesco, Giordano e Loco sono amici da una vita e tifosi romanisti sfegatati. Personalità e storie di vita diverse ma complementari li portano a condividere quello che solo all’apparenza è un semplice viaggio verso l’affascinante Madrid - dove la Roma giocherà una trasferta di Coppa – ma anche per celebrare spassionatamente uno di loro, prossimo alle nozze. Il viaggio, in verità, si tramuterà in una transizione per tutti e quattro verso la maturità: il calcio è il fine, ma non il mezzo, che li porterà a sconfessare alcune loro convinzioni e mettersi a nudo, condividendo momenti di definizione che li porteranno a (ri)trovare sé stessi e (ri)scoprire gli altri.

Anche in questo caso, tra l’altro, il regista è al suo esordio al lungometraggio: un buon risultato, senza dubbio, anche considerato il fatto che l’intero lavoro si svolge, appunto, ‘on the road’ e quindi di non banalissima gestione. Azzeccatissima, infine, la scelta del mezzo di trasporto dei quattro protagonisti per la loro folle avventura umana: uno sgargiante van Volkswagen, conosciuto anche come «Bulli», non alla sua prima “prova” sul grande schermo.

Volkswagen ID. Buzz, il veicolo 100% elettrico che rende omaggio al Bulli

https://vwn-presse.de/
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Se il Bulli ha una storia epocale, che affonda le sua radici addirittura nel primo dopoguerra, c’è il suo ‘erede’, a tutti gli effetti, che Volkswagen produce dallo scorso anno: circa 70 anni di differenza, quindi, tra i due modelli, apparentati dal concept, dal fascino, dalla posizione del motore e della trazione (entrambe posteriori), dal profilo estetico e dalla grande comodità offerti ai passeggeri.

Per il resto, ID. Buzz è una vera rivoluzione: primo van totalmente elettrico della casa automobilistica tedesca, concepito per adattarsi alla perfezione sia nelle tortuose sfide metropolitane che nelle gite fuori porta con gli amici. 

L’abitacolo - realizzato in parte con materiali riciclati, nell’ottica di produrre un veicolo sostenibile a 360 gradi – si presenta spazioso e versatile, tramite i sedili regolabili, ma anche comodo e accogliente, grazie all’Ambient Light che consente di personalizzare le luci delle sagomature, della plancia e del vano piedi anteriore e posteriore con ben 30 colorazioni differenti.

 

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Ma, soprattutto, parte integrante di un veicolo sostenibile: ID. Buzz soddisfa alla perfezione le richieste che si fanno a un veicolo elettrico nell’uso quotidiano, ovvero produrre zero emissioni locali di CO2 e garantire ottima autonomia sulle lunghe distanze. Su richiesta, peraltro, viene fornito equipaggiato della Wallbox ID. Charger, la soluzione ideale per ricaricare il veicolo direttamente a casa.

La tecnologia ultra avanzata e a disposizione del guidatore è il vero cuore pulsante di ID. Buzz, grazie a Car2X, che aiuta a prevenire gli incidenti stradali connettendo i veicoli fra loro e con le infrastrutture stradali; a richiesta più di 30 sistemi di assistenza a bordo e una buona visibilità grazie ai fari LED Matrix IQ. Light. ID. Buzz è a tutti gli effetti sempre connesso, grazie alla sua scheda SIM installata in modo permanente così da mantenere sempre aggiornate le funzioni digitali del veicolo.

La libertà di guida del veicolo è garantita dall’autonomia ciclo di prova combinato (WLTP) fino a 421 km e dal consumo di energia elettrica (Wh/km) ciclo WLTP combinato compreso nell’intervallo 217 – 206.

In definitiva, un veicolo nato per ridefinire il futuro della mobilità, ma perfetto per il presente, tanto nei brevi spostamenti cittadini, quanto nei viaggi fuori porta a media-lunga percorrenza.

ID. Buzz è disponibile in due versioni, entrambe 100% elettriche, Pro e Pro+, in base all’equipaggiamento, ed è disponibile a richiesta in quattro verniciature bicolore: maggiori informazioni sono disponibili a questo link.

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