Per De Laurentiis trovare un allenatore all’altezza dopo il saluto di Spalletti era sembrato un problema già da maggio. Per ingaggiare un mister di alto livello ci vogliono i soldi. Tanti. E quelli De Laurentiis non è disposto a tirarli fuori. E senza un walzer di panchine, perché questa estate di cambi in panchina se ne sono visti molto pochi, è risultato subito chiaro che il presidente del Napoli avrebbe rovistato tra gli scarti degli altri club e della storia.

Garcia era apparso subito questo agli occhi di molti tranne che ai suoi. O, forse, inconsciamente, pure per De Laurentiis, ingannato da se stesso e dalla sua mania di fare scommesse perché, stando alle sue parole frequenti, le sue scelte sono sempre state giustificate da ragioni personali, di presunta affinità, anche su quella ci sarebbe da riflettere, e non su ragioni tecniche. 

Il ritorno di Mazzarri, che già divide tra chi avrebbe voluto un tecnico diverso, più attuale, e chi invece ne avverte il fascino del romanticismo, del ritorno a un Napoli che emozionava e che era il rilancio verso i livelli più alti, in realtà, di romantico ha ben poco. Perché l’ingaggio pro tempore del tecnico che tanto, giustamente, ha da legare nella sua carriera a Napoli, è solo il richiamo di emergenza alla necessità di cambiare. E, per farlo, poco e nulla era rimasto all’orizzonte. Stando alle rivelazioni della stampa, il nóstos mazzarriano è maturato tra incertezze e rifiuti di chi non ha voluto assumersi una responsabilità, o di chi non ne aveva convinzione o non si era semplicemente visto soddisfare le richieste contrattuali. O, chissà, per ragioni ulteriori e irrivelabili. 

Dell’arrivo di un Mazzarri che si annuncia diverso da quello di dieci anni fa, disposto, pare, a mutare di linguaggio tattico per adeguarsi alle caratteristiche di questo Napoli, e, ancora, in un entusiasmo istruito dall’autodidatta che ha desiderato assumersi la responsabilità che altri non hanno voluto prendere in considerazione, resta la speranza che l’inversione di marcia targata De Laurentiis risolva qualche problema secondo quel “fiuto” che in altre occasioni ha salvato capra e cavoli. Del resto l’avventura di Mazzarri iniziò proprio dal suo arrivo in corsa per rilevare la panchina spenta e anonima di Donadoni. E il tecnico toscano seppe prima di tutto restituire entusiasmo a una squadra che sotto la guida dell’ex calciatore del Milan aveva completamente perduto.

Ecco, forse adesso è quello che urge di più. Chi crede che il Napoli delle meraviglie della scorsa stagione fosse il frutto esclusivamente di un lavoro tecnico adeguato (che comunque c’è stato) si sbaglia, perché il Napoli di Spalletti è stato allevato dentro la dichiarazione d’intenti che in passato aveva inquietato altri allenatori e che quest’anno aveva definito e mortificato Garcia secondo le sue stesse parole: “Dobbiamo arrivare tra i primi quattro posti”.

Mazzarri, oltre che sperimentare come il celebre 4-3-3 sia entrato nelle sue corde della maturità di tecnico, dovrà, probabilmente, recuperare il motto di spirito che ha caratterizzato il Napoli di Spalletti. Quello del desiderio di vittoria. Contro tutto e tutti. Prima di tutto, a favore di se stesso.
E questo Mazzarri lo sa, perché lo ha già provato durante i suoi, di anni. Perché, in fondo, il Napoli di mister Walter, sia pur molto diverso da quello campione d’Italia, una cosa identica a suo tempo l’ha dimostrata: quella di essere una squadra mai disposta alla sconfitta. Allora c’erano dei limiti da una parte di campo in poi, oscurati dalla meraviglia di quei tre calciatori straordinari. Adesso quei limiti sono scomparsi, per un organico che garantisce la completezza necessaria a rendere efficace l’inarrendevolezza. 

Che paradosso che proprio il Napoli campione, quello da cui tutti si aspettavano il cambio di marcia definitivo, sia tornato indietro nel tempo per recuperarsi. Che non sia un caso che Mazzarri è stato l’allenatore che in serie A con De Laurentiis è durato di più?