Non è tanto per i risultati, perché in fondo il Napoli è in zona Champions, con quasi tutti gli scontri diretti più importanti da disputare, ed è saldamente secondo nel girone dietro il Real Madrid e con la gara che quasi certamente sarà decisiva da giocare in casa con due risultati su tre utili e contro un avversario sulla carta nettamente inferiore. Alla fine la stagione del Napoli è ancora viva e con le possibilità di giocarsi tutto.

Il problema è che certe domande, orami tante, troppe, superano le risposte e i dubbi sovrastano le certezze. Sono molte delle domande che proprio qui dentro furono poste a mister e presidente in una conferenza stampa immaginaria. Quando non è possibile interrogare l’interlocutore principale, quando pure se lo fosse, vedere il tedio grigio protocollo delle conferenze stampa prima e dopo le partite del Napoli, sarebbe comunque quasi inutile perché i dialoghi sarebbero insoddisfacenti, allora si finisce per parlare con se stessi.

Perché il Napoli subisce goal con così disarmante facilità? Eppure di azioni offensive ne subisce molto poche. Il problema è che sono quasi sempre pulite e nitide da diventare irresistibili. Perché questa squadra non sembra contemplare la fase difensiva? Perché ha una misura così indecifrabile tra il tentativo di fare gol e la necessità di non subirlo? Perché Di Lorenzo fa presenza fissa dopo la linea di centrocampo, spesso a ridosso o dentro l’area di rigore? E perché, nonostante questo sbilanciamento, le sovrapposizioni con l’esterno d’attacco sono così sporadiche e inefficaci? Perché il terzino sinistro fa spesso la stessa cosa e il Napoli si trova a coprire le ripartenze degli avversari con un centrale e, se va bene, Lobotka

Come si stanno gestendo valori come Simeone, Lindstrom, Elmas? Calciatori che appaiono e scompaiono dal campo senza un criterio che sia rispondente a un equilibrio tattico, a una scelta di modulo, a un cambiamento in corsa che non sia soltanto quello della disperazione? Perché ogni volta che Garcia cambia, quasi sempre il Napoli perde la bussola del gioco, incartandosi in una ricerca dell’assetto che è ai limiti di quella esistenziale?

Perché, soprattutto dopo i cambi (che non sono proprio il numero da repertorio di Garcia), si ha l’impressione che il Napoli si muova su uno schieramento tattico che moltiplica le linee di posizione dei calciatori, disperdendoli sul campo in un andirivieni dove ogni giocatore perde un tempo di gioco per aspettare il compagno? A proposito di cambi, perché con l’Union Berlino Garcia ha tolto Politano a tre minuti dalla fine quando questi sembrava l’unico a poter fornire un qualche genere di soluzione per risolvere la partita? E perché a tre minuti dalla fine? E perché queste frazioni di gioco così ristrette vengono riservate anche ad altri calciatori in fasi di partita spesso convulse e nella disperazione di cui sopra? 

Tutte queste domande portano facilmente laddove le critiche di chiunque in questo momento corrono senza sosta e senza esitazione: l’operato dell’allenatore? E, al di là di ogni altro, ulteriore e sacrosanto ragionevole dubbio, si avverte così difficile e scoraggiante l’idea di poter tentare di difenderlo?