La gestione Spalletti è composta da una meccanica di congegni e dispositivi. Nella dimensione che il tecnico toscano ha creato, e si è creato, a Napoli c’è pure l’arte del recupero. Due calciatori in particolare hanno beneficiato di una cura che pareva soccombere all’idea di abbandono per manifesta impossibilità.

Stanislav Lobotka è arrivato a Napoli da un’esperienza al Celta Vigo in cui lo slovacco aveva fatto sfoggio di doti tecniche e tattiche che non erano sfuggite al club partenopeo. A Napoli, però, i primi anni avevano avuto i toni dell’ignoto. Fino a una dispersione che ne avevano fatto un oggetto non soltanto scarsamente preso in considerazione dalla guida di Gattuso, ma, anche nelle prime uscite con Spalletti il mediano delle meraviglie era apparso smarrito e disorientato. 
L’inganno prima della metamorfosi. Il vero Lobotka è emerso dall’ombra grazie alla tenacia e all’occhio di un allenatore che ha saputo inquadrarlo e liberarlo dentro le sue caratteristiche, facendone l’uomo d’ordine del Napoli campione d’Italia e di una squadra in grado di incantare anche in Europa.

Lobotka, calciatore quasi unico nel suo genere, è diventato il nucleo operativo, l’anima metronomo, l’indispensabile, grazie a un cambiamento che ha assunto i toni di un Gregor Samsa inverso. Non la condanna alla mostruosità apparente inflitta alla vittima dagli occhi esterni e malfidati, ma il lampo perpetuo di un’estetica del gioco tutto energia e sostanza. La gara emblematica è individuabile nel 4-0 inflitto alla Lazio nella scorsa stagione, quando nella notte dedicata al Pibe de Oro Lobotka si è liberato delle catene di un passato recente divenuto presto remoto e dimenticato, sprigionando la sua meccanica al limite della perfezione. Perché Lobotka, anche grazie alle intuizioni di Spalletti, ha avuto il segno della rarità.

Quando Mario Rui è arrivato a Napoli lo ha fatto in un silenzio che avrebbe dovuto destinarlo a una specie di rincalzo, di riserva discreta e accettabile del terzino sinistro titolare. Allora quel Ghoulam che prima dell’infortunio era considerato tra i fluidificanti più forti del mondo. Mário Rui Silva Duarte arriva all’ombra del Vesuvio reduce da un’esperienza poco felice a Roma sponda giallorossa. Poche presenze e un infortunio.

A Napoli, quando Ghoulam si fa male, nella stagione dello scudetto discusso la fascia sinistra cade sulle spalle di Mario Rui che, nella diffidenza generale, regge benissimo l’urto conquistandosi la stima di Sarri e della piazza. Col cambio di gestione tecnica, con Ancelotti prima e Gattuso poi, il suo rendimento non riesce più a essere costante, fino a un calo che si evidenzia anche sul piano psicologico, non senza qualche contrasto con Gattuso. L’arrivo di Spalletti genera un riavvio anche in Mario Rui. Nella prima stagione i passi sono incoraggianti ma non ancora perfetti. Poco a poco, però, anche in lui qualcosa cambia. E in meglio.

L’annata 2022\2023 è quella di una consacrazione a cui pochi avrebbero creduto. Il suo supporto tecnico e tattico diventa fondamentale per il suo compagno di catena sinistra. Kvara con lui gode di luogo a procedere. Mario Rui diventa decisivo anche in alcune gare molto complicate. Su tutte il cross vincente per Simeone nella vittoria di San Siro col Milan. Se Olivera è una garanzia sul piano atletico e della sostanza, Mario Rui lo è rispetto alla misurazione felice di una progressione che segue a meraviglia il baricentro della squadra. Con lui in campo più volte Kvara più liberare ancora più facilmente la sua pericolosità. Spalletti compie un altro pieno recupero con un altro calciatore che qualcuno aveva anche ipotizzato dovesse lasciare Napoli nelle stagioni passate. 

Due zone diverse di campo, due calciatori molto diversi. Tuttavia due momenti significativi di un allenatore e di due professionisti. Perché certi risultati sono lo specchio di certi andamenti. E certi andamenti non producono il caso, ma il merito.