L’ultima con lo scudetto sul petto. Napoli-Lecce chiude un’annata che col tricolore sulla maglia probabilmente passerà alla storia come la rielaborazione amara e imprevista del gruppo che dopo trentatré anni aveva riportato quella felicità vissuta nel periodo di Maradona

L’anno scorso fu proprio Napoli-Lecce la svolta emotiva di un campionato straordinario. Un pareggio interno che a distanza di tempo è stato raccontato come il momento in cui Spalletti, messo in discussione da tifosi e società, chiuse una barriera di protezione intorno a un organico che avrebbe sorpreso tutti quelli che all’inizio non lo reputavamo nemmeno da qualificazione in Champions.

Quel Napoli-Lecce fu l’ultima volta di un Napoli debole e spaesato. I fantasmi di un gioco macchinoso e di una manovra inconcludente trovarono in quella gara la parola fine. E fu l’incanto, durato fino ai quei primi di maggio che saranno ricordati per sempre.

Adesso Napoli-Lecce chiude la stagione inversa. Con un pizzico di malinconia e, proprio mentre circolano febbrili e insistenti le voci sul nuovo allenatore – che Lecce sia un emblema? – con la speranza che anche questa sfida tutta fatta di sud richiuda un lungo capitolo doloroso e ne schiuda un altro fatto di una voglia di ritrovarsi che passi per una risoluzione più serena e meno inquieta per alcuni protagonisti e ne ritrovi di nuovi sotto una guida altrettanto serena e grintosa.

Chissà che non sia per Napoli-Lecce, sfida che in passati più lontani e altri più recenti ha sempre avuto un valore particolare e decisivo (il 3-2 sofferto e in rimonta dello scudetto del 1990, la vittoria casalinga nell’anno della promozione dalla B alla A, il gol di Cavani all’ultimo minuto nella stagione del ritorno in Champions), a passare la formula di quella ritrovata identità, presto tradotta per mano di chi dovrà sapere infondere nuovi entusiasmi.