Edin Dzeko è, anzitutto, un grande attaccante. 

Che ha (avuto) esclusivamente nell'emotività, e nella conseguente discontinuità, il suo unico handicap. Quando, ai tempi del Wolfsburg (2007-2011), lo voleva fortissimamente il Milan, e poi prese Klaas-Jan Huntelaar, in molti dalle parti di Milanello si mangiarono le mani. Quel bosniaco così grosso e onnipresente, in area avversaria, piaceva da morire a Berlusconi, che lo sognava rifornito dai tocchi al miele di Ronaldinho e Seedorf, e curato dagli strappi di gioco al fulmicotone di Pato.

"Ho già detto diverse volte di essere un tifoso del Milan – confessava, a quei tempi, Edin: era l'estate 2009 - e il mio obiettivo è sempre stato quello di poter giocare con un grande club come quello rossonero". Non se ne fece nulla, e per almeno 3 sessioni di mercato di fila. Galliani aveva concordato con il ragazzo un contratto da 2 milioni netti l'anno (all'epoca in Bundes guadagnava poco più di 500mila euro), ma non aveva fatto i conti con il club di proprietà Volkswagen. Che, di certo, non aveva bisogno di perdere il suo miglior giocatore per una manciata di milioni.

I biancoverdi non scesero mai sotto quota 30 milioni, ed alla fine non se ne fece più nulla. Dzeko rinnovò, il Milan dopo un anno prese Ibra, e alla fine fu il City, a strapparlo al Wolfsburg (spendendo ben 35 milioni).

In Premier League il ragazzone di Sarajevo fece sempre il suo, pur senza mai raggiungere i livelli mostrati in terra teutonica: eppure l'Inghilterra calcistica, dove i ritmi sono frenetici e la fisicità è una delle doti imprescindibili, per primeggiare, sembrava fosse fatta per lui. Che, dall'alto dei suoi 193 centimetri e 85 chili, ha sempre avuto nel gioco aereo una delle sue migliori doti. Ma anche la capacità di tener palla, far salire la squadra, e calciare con entrambi i piedi, non gli è mai mancata. Certo, pur non mostrandola mai come durante la sua terza avventura di prestigio, quella italiana.

Nell'estate 2015, dopo un lustro fatto di alti e bassi in Inghilterra, è difatti la Roma che ha rinunciato a Destro, Doumbia e Ibarbo a puntare tutto su di lui. Ed a strappare al City, un accordo tutto sommato conveniente: 4 milioni di prestito, 11 di riscatto, 3 di bonus. Totale, 18: praticamente la metà rispetto a quanto pagato 5 anni prima. Che, per un giocatore fatto e finito, ma comunque ancora di neanche 30 anni, a posteriori sono sembrati un affarone.

Non nell'immediatezza, però. Perché negli occhi sia i tifosi che i fantallenatori hanno ben chiara l'immagine goffa, introversa, silente e stereotipata del primissimo Dzeko giallorosso.

Un centravanti irrigidito dal peso della responsabilità, oscurato dal talento cristallino di Salah e dai piedi buoni dei suoi compagni più tecnici - vedi Perotti, Totti, Pjanic ed El Shaarawy - e costantemente nel mirino della critica. Soprattutto per via del modo con cui riesce a rendersi ridicolo sotto porta.

Il tutto, poco prima che trovasse lungo la sua strada un "mago" come Spalletti. Che prima gli preferisce Perotti, schierato da finto attaccante, poi inizia gradualmente a dargli fiducia. Smodata. Sino a renderlo il capocannoniere del campionato successivo: anche grazie al suo imprendibile compagno di reparto, Salah, Dzeko si ritrova a diventare non solo il finalizzatore principale, ma soprattutto il regista offensivo di una macchina praticamente perfetta sotto il profilo realizzativo. Segna 39 gol nella sua migliore stagione di sempre da calciatore, diventa miglior cannoniere stagionale di sempre della storia della Roma, oltre che capocannoniere di Europa League e del campionato.

E si prepara a vivere l'annata 2017-2018 con un novo allenatore, Di Francesco, e tanti obiettivi ancora da raggiungere.

Tra la prima e la settima giornata sembra ancora quello dello scorso anno, se non ancora più funzionale. La Roma gira a mille, e lui viaggia alla media di un gol a partita, su per giù come l'anno precedente. E il 18 ottobre, a Stamford Bridge, contro il Chelsea (3-3), gioca una delle migliori partite della sua intera carriera. Per 90' più recupero, giocando in almeno tre ruoli diversi, per abnegazione e senso di appartenenza, è il fulcro di qualsiasi possesso palla degli ospiti. A fine gara segna due gol, uno dei quali bellissimo, per coordinazione e movimento in area, e recrimina per la mancata vittoria: "La Serie A mi ha migliorato molto, si è visto pure oggi. Quando ero al City non ho fatto gol al Chelsea. Con la Roma sì...". 

'Alla Batistuta'

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A rimirarne la leadership, ora anche tecnica ed emotiva, in campo, c'è anche Antonio Conte. Uno che avrebbe voluto - insoddisfatto - Lukaku, e che in estate s'è fatto bastare - si fa per dire - Morata. Lo voleva fin dai tempi della Juventus, il leccese, che però in lui, oltre che un grandissimo uomo d'area, non vede neanche un uomo capace di far girare i compagni come Edin. Che, a Londra, in ogni suo singolo movimento e possesso palla ha aperto uno spazio o comunque servito gli inserimenti altrui: un maestro della ripartenza. Oltre che un devastante finalizzatore.

Poi, qualcosa si inceppa. Salah non c'è più, Perotti lo rifornisce sempre meno, ed i lanci millimetrici di Pjanic e Totti appartengono ormai al passato. Strootman e Nainggolan, oltre ai vari Gerson, Under ed El Shaarawy non fanno per lui, a livello di complementarità tecnico-tattica. E Dzeko si ferma. Proprio dopo quella partita. In tre mesi segna solo due gol e qualcosa frattanto inizia a muoversi. Proprio il Chelsea, che ha deciso di sacrificare Batshuayi, lo chiama. E Monchi sta a sentire

Non potrebbe fare diversamente, il nuovo deus ex machina del mercato giallorosso, che in estate ha deciso già, preventivamente, di comprare il suo erede. Il non-ancora-pervenuto Patrik Schick alla Samp è stato pagato oltre 42 milioni: denaro investito dalla cessione di Salah per una cifra molto simile, che però ancora non è bastata per regolarizzare i conti societari. Che, non a caso, contestualmente tratta Nainggolan coi cinesi, Strootman con il Liverpool ed Emerson con lo stesso Chelsea. Che formalizza la sua prima offerta: 50 milioni per entrambi i cartellini. La Roma, che valuta l'italo-brasiliano non meno di 25 ed Edin 35, ribatte con 60 per la doppia cessione. Si va avanti, i calciatori dicono sì. Non potranno esserci in Champions, ma le prospettive dei blues li allettano eccome. Li capiamo: la Roma, come ribadito dallo stesso Monchi e da Di Francesco, non sta smantellando, ma ridimensionando sì. Ma solo in ottica futura. 

Schick è un patrimonio da non disperdere, paradossalmente più di Dzeko, che a marzo compirà 32 anni e che non può avere ulteriori margini di crescita. Il ceco, invece, sì, e non potrà mai concretizzarli fin quando non sarà messo al centro della manovra proprio come il bosniaco. L'esperimento di coesistenza tra i due è miseramente fallito, nonostante gli sforzi dell'allenatore, per cui la decisione adesso sembra presa. E l'attenzione si sposta tutta sulla trattativa in essere sull'asse Roma-Londra. Ballano ancora 10 milioni, certo, ma con la tradizionale quantificazione e categorizzazione dei bonus l'affare può davvero, clamorosamente, concludersi. E potrebbe favorire un po' tutti quanti. Anzitutto la Roma, che s'è potuta godere - seppur per un periodo davvero troppo breve - il miglior Dzeko di sempre. E che adesso, inaspettatamente, può addirittura pensare di fare una sostanziale plusvalenza con il suo cartellino. Doppia, se si considera che per Emerson all'epoca vennero investiti solo 2.5 milioni: circa un decimo rispetto a quanto sarà possibile ora mettere a bilancio. Certo, buona parte di queste somme andranno reinvestite: perché Kolarov è sì pronto a prendersi definitivamente in carico la fascia sinistra, ma non è eterno. E lo stesso Patrik non è ancora pronto per caricarsi d'un ruolo e di una responsabilità del genere. Per questo motivo, se in settimana l'affare verrà concretizzato, Monchi dovrà industriarsi per prendere sia un terzino che un attaccante capace di fare da variabile a Schick, pur senza oscurarlo. Forse lo stesso Batshuayi, che a Londra non troverebbe più spazio ma che piace anche al Borussia, prossimo orfano di Aubameyang. Oppure Sturridge, che però ha un riscatto troppo alto. E allora, farebbe bene la Roma a sacrificare Dzeko?

Baldissoni e Monchi  (getty)

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Probabilmente sì. Anzitutto perché nessuno - se non un club cinese: e non è detto che però Dzeko accetti - arriverà a bussare alla porta di Monchi con 30-35 milioni, in estate né in futuro. E perché il rischio, contestuale, di non dare il giusto spazio a Schick è dietro l'angolo. Le due cose, d'altra parte, vanno di pari passo ma su direzioni opposte: se Dzeko, entro fine stagione, restando a Roma, tornerà ai suoi livelli, allora Schick anche il prossimo anno si ritroverà a faticare per scalzarlo o, al massimo, a giocare ancora in un ruolo non suo. Se invece gli standard del numero 9 dovessero restare quelli attuali, allora le possibilità di cederlo a un prezzo tale saranno assolutamente infime. 

Monetizzare, d'altra parte, serve anche per riuscire a non cedere alle sirene che risuonano prepotenti per gli stessi Nainggolan e Strootman, che pur non vivendo una delle loro migliori fasi giallorosse sono meno facilmente sostituibili del loro compagno. Perché in rosa, attualmente, l'unica mezzala di pari livello è Pellegrini, a cui però manca ancora l'esperienza necessaria per poter garantire la continuità dei suoi due più celebri compagni. Se la farà, proprio come Schick. Sul quale, però, è stato fatto un investimento non solo economico inevitabilmente più importante. 

E lui, Edin? Beh, intanto non ha mai rinnegato la sua prima e sinora unica esperienza inglese. Ora ha una famiglia e due figli, ed evidentemente può fare una scelta di vita. A Londra se la giocherebbe, alla pari, con Morata, ma deluderebbe i suoi tifosi. Cose che, nel calcio, capitano eccome, però. Schick non è Dzeko, ma può diventarlo: e se ne renderebbero conto a breve proprio gli stessi tifosi che ora, legittimamente, mugugnano. Forse l'unico vero handicap, a conti fatti, sarebbe da scontare al fantacalcio. In moltissime leghe Edin è stato, al pari dei vari Mertens, Icardi, Immobile e Higuain, inevitabilmente considerato anche in sede d'asta un top player, e coloro che si ritroverebbero a perderlo in corsa sarebbero i più penalizzati di tutti. Anche perché di colpi equivalenti in entrata, al momento, all'orizzonte non se ne vedono. Ed a ringraziare sarebbero invece solo i fantallenatori di Schick, che non necessariamente coincidono con quelli di Dzeko. 

Ma il calciomercato, a ben vedere, del fantamercato si cura poco. E forse è anche giusto così. L'imprevedibilità in entrambi gli ambiti, soprattutto in un periodo storico così clamorosamente influenzato dalle risorse finanziarie, è all'ordine del giorno. E forse è anche per questo motivo che sono così emozionanti entrambi.