“È stata una partita equilibrata. Cinquanta cinquanta possesso palla. Noi non bene nel primo tempo, meglio nel secondo. Nella ripresa c’è stata una fase selvaggia. Poi il rigore che ha deciso la partita. Dopo il goal non abbiamo saputo reagire.”

Jurgen Klopp l’ha fotografata bene, cogliendo la mistica di una partita che ha avuto momenti diversi, ma tutti addensati attorno al suo comune denominatore: il gioco. Se al fischio finale del primo tempo il tabellino dice tre falli fischiati in tutto, allora vuol dire che in campo i calciatori hanno un’unica ossessione: rispettare se stessi e la propria identità. Senza trucchi, senza furberie, senza perdite di tempo, senza quel campionario discutibile accettato dalla consuetudine, talvolta considerato necessario e indispensabile. Invece, l’omaggio al senso galantuomo del pallone è arrivato in una gara in cui i 14 falli complessivi (11 nella ripresa, come fisiologico sia per ragioni atletiche) certificano un intendimento essenziale del gioco del calcio.

La vittoria del Napoli assume due dimensioni da non trascurare. La prima viene da lontano. Basta coi miracoli, basta col sorprendersi. Questa squadra è in grado di poter competere con chiunque. Ancelotti da tempo sta traducendo lo straordinario in ordinario, l’improbabile in possibile, a differenza di chi troppo a lungo si è ostinato a scambiare l’umiltà per quella abitudine da spiritualità colonizzate che a tutti i costi devono anteporre la presunta superiorità degli avversari. La seconda, invece, è avvalorata dalla caratura e dalla prestazione di un Liverpool che ha giocato un grande incontro. 

Il risultato è stato determinato da una scaltrezza di Callejon, al di là dei meriti maturati dal Napoli nei novanta minuti, ma la qualità espressa dagli uomini di Klopp non è stata al di sotto delle aspettative. Gioco rapido, passaggi di prima, grande palleggio, corsa, compattezza e tutto quello che è nelle caratteristiche dei campioni d’Europa. Tutto si è riproposto come da curriculum. E il Napoli ha saputo avere ragione di tutto questo. Una vittoria è più convincente quando, invece di arrivare su un avversario sottotono e inerme, giunge dopo un confronto alla pari.

“Abbiamo corso tanto.”

Il pathos stremato e felice di Dries Mertens a fine partita ha rivelato il filo conduttore di una disputa che sin dai primi minuti ha caratterizzato la partita. La vigilia temeva una minore condizione atletica del Napoli rispetto a quella di un Liverpool che nelle prime battute di questa stagione, complice anche una preparazione anticipata, si è mostrato più brillante dal punto di vista fisico. Il Napoli, invece, ha smentito questa previsione partendo, anche qui, da più lontano. Il primo tempo con la Sampdoria non era stato esaltante sul piano atletico e della compattezza tattica. Poi, nella ripresa, gli uomini di Carlo Ancelotti avevano mostrato una migliore disposizione e una tenuta più fluida. 

La gara di Champions ha restituito un Napoli lucido e compatto sin dal principio, con una evidente fase di sofferenza dal minuto 70. La squadra, però, non è caduta nella trappola di non interpretarsi. Complici i cambi, il Napoli si è abbassato senza perdere le giuste distanze e ha aspettato il Liverpool nella propria metà campo, subendo e sopportando la pressione avversaria senza scomporre i movimenti di gioco.

“A volte, allungare il gioco con un lancio non è peccato. Può darti la possibilità di trovare la giocata decisiva.”

Ancelotti ha guardato al goal sblocca gara con lo sguardo serafico di chi conosce bene questo genere di partite. L’identità di gioco può dare la vittoria, ma spesso serve più a resistere che a trovare lo spunto decisivo. Il Napoli si è scrollato di dosso il timore di smarrire la partita nei minuti finali cogliendo di sorpresa il Liverpool nel suo momento migliore. Un movimento, quello di Callejon, che ha giocato col regolamento. Il rigore è stato concesso perché l’intervento del difensore del Liverpool è considerato un’opposizione irregolare, al di là dell’entità del contatto. E quel goal, oltre ad aver ridato vigore al Napoli, ha scoperto le debolezze nervose di un Liverpool travolto dalla freddezza dell’avversario e dal secondo goal. In un frangente tutta la vulnerabilità di un avversario apparso invulnerabile.

“Qualcuno aveva detto già che io e Koulibaly non funzionavamo bene. Invece, a quanto pare, è solo una questione di tempo. L’unica sconfitta è arrivata solo per una circostanza molto sfortunata. Nel calcio non si difende in due e non difende il singolo. Nel calcio difende tutta la squadra.”

Aveva qualche sassolino da togliersi, quel Manolas arrivato a sostituire l’amato Albiol, a formare una coppia difensiva suggestiva, da subito, però, sotto i riflettori delle critiche a causa dei sette goal subiti nelle prime due gare di campionato. Qualcuno, in effetti, aveva confuso la qualità dei singoli con la tenuta di una fase il cui funzionamento dipende da un meccanismo che ha bisogno di tutti e in buona condizione. Se si esclude un solo svarione in tutta la partita, la prestazione dei due centrali difensivi del Napoli col Liverpool permette a entrambi di toglierselo, quel sassolino.

11 goal segnati in 4 partite. E, tre di queste, le trasferte di Firenze e Torino con la Juventus e il Liverpool in Champions. Tutti gli attaccanti a segno tranne Milik (che però non è ancora stato impiegato), in un reparto che aspetta l’imminente ritorno del polacco destinato ad arricchire le possibilità di scelta dell’allenatore. L’attacco del Napoli incuriosisce non poco.