In questa stagione del Napoli la "consumazione" degli allenatori è un romanzo grottesco di formazione. Un Lazarillo del terzo millennio è caduto su una panchina prima invidiata e poi evitata. Quasi da chiunque. Già nella testa della presidenza, nell’estate più ebbra e incosciente della storia del calcio Napoli. Di quando De Laurentiis ha deciso di svelarsi come il plenipotenziario assoluto vestendo pure panni non suoi. E allora la scelta del dopo Spalletti è iniziata scandendo allenatori che, col dovuto rispetto, ormai allenatori non lo erano più.

Garcia e Mazzarri sono stati quelli a cui affidarsi, per ragioni diverse, e quelli da mandare via, per ragioni altrettanto diverse. In comune hanno avuto la targa dei disastrosi, con relative responsabilità. Fino a Calzona, quello che al finale del romanzo ha dato voce mostrandosi come la soluzione disperata di un ritorno alle origini soltanto da commiserare. L’uomo senza colpe. Arrivato sulle macerie per restituire un qualche genere di dignità. 

Tuttavia tutti questi allenatori hanno avuto qualcosa che li ha fatti rassomigliare. In alcune scelte che adesso iniziano a diventare emblematiche. Quasi simboliche, per una costante dell’opzione che assume il valore di stereotipo, di valvola sfogo da condurre per darsi delle ragioni plausibili. Delle indicazioni, positive o negative, sopra qualcosa che in fondo indica soltanto che non ne può più.

Finirà la stagione e nessuno saprà spiegarsi con certezza perché Kvara è stato il sostituito procuratore dei malumori della squadra. Frequentemente cambiato intorno agli stessi minuti, anomalia deludente senza che nessuno si sia chiesto se certi rendimenti non dipendano pure da condizioni tattiche e di squadra invece che dalla scarsa verve di un calciatore. Finirà la stagione e Ostigard avrà giocato poco. Molto poco. Soprattutto in relazione a un utilizzo spasmodico di Juan Jesus che, sempre col dovuto rispetto, non pare aver dato garanzie sufficienti per essere considerato un titolare inamovibile e irrinunciabile. 

Finirà la stagione e Lindstrom sarà l’uomo dei dieci minuti finali. E nemmeno sempre. L’investimento più costoso della campagna acquisti post scudetto quasi mai titolare e quasi mai preso in considerazione, fino a definirlo un vice Kvara. Anche un po’ a sorpresa. Finirà la stagione e qualcuno si chiederà se Zielinski sì in campionato e no in Champions non abbia avuto qualcosa di cervellotico. Soprattutto se si considera che Zelinski in campo non si vede dall’anno scorso. A Cagliari è uscito dal campo dopo Kvara. 

Finirà la stagione e nessuno avrà ancora capito che idea abbia il Napoli di Raspadori. Da Garcia a Calzona ha giocato praticamente ovunque dalla mediana in su. E non perché sia un jolly della provvidenza o un mago della duttilità tattica, ma perché ha dato più la sensazione di essere un elemento su cui dover puntare. A prescindere. E probabilmente il primo a soffrire del dibattito tattico sia proprio lui. Giustamente. 

Finirà a stagione e saranno in molti a tirare un sospiro di sollievo. Sperando che De Laurentiis riesca a ingaggiare un allenatore. Ma non un richiamato dalla passione o un tecnico part time. Un allenatore. Uno in grado di avere piena percezione della realtà. Perché quella sembra la cosa più lontana in questo momento.