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 Gabriele Gravina, numero uno della FIGC, ha parlato nel corso di un'intervista concessa al Corriere dello Sport. Il numero uno della Federcalcio ha parlato ancora della sua idea di Serie A oltre che del rinnovi di Mancini.

 L'intervista a Gravina

 
Nazionale??
«Prevale una concezione atavica che vede la Nazionale in competizione con le singole società. Eppure ciò che è accaduto in azzurro negli ultimi due anni è una rivoluzione copernicana, che ribalta vecchi schemi e impone di cambiare mentalità: Mancini ha dimostrato che, valorizzando i giovani e vincendo con loro, tutto il movimento sportivo ne trae un vantaggio».  
 
Mancini? 
«Sottoscrivo. Il ciclo che ha aperto va ben oltre il limite contrattuale del dicembre 2022. Ci sono tutte le ragioni per condividere un progetto più lungo». 
 
Rinnovo? 
«Certo, non è necessario aspettare. Mancini ha già vinto. Con la piena condivisione sul progetto, bisogna stringere i tempi». 
 
Ruolo di Lippi? 
«Mettiamola così. Il calcio italiano ha rispetto e gratitudine per tutti coloro che lo hanno fatto grande. Possiamo dimenticare Marcello Lippi? Io credo di no. Con questo spirito la Federazione ha già inserito ex campioni nei suoi ranghi. In tempi medio-lunghi ci sarà anche spazio per un allenatore che ha vinto un campionato del mondo e che può dare un suo contributo. Ma in questo momento l’obiettivo non è all’ordine del giorno. Ci sono altre priorità». 
 
Frenata? 
«Non c’è nessuna frenata, perché non c’era nessuna accelerazione. È stato equivocato un pranzo con Marcello, all’insegna dell’amicizia. Non era il primo e non sarà l’ultimo. Ma da un pranzo non scaturisce un impegno». 

Gravina sui tifosi allo stadio

 
Tifosi?  
«Voglio fare autocritica. Dobbiamo riconquistare un ruolo sociale. Far comprendere ciò che rappresentiamo, in senso economico, civile, valoriale. Finora a rappresentarci sono stati i nostri difetti e le nostre criticità. Il risultato ottenuto riaprendo il campionato a giugno, senza contraccolpi epidemiologici, è un grande punto a nostro vantaggio. Per quello di buono che abbiamo fatto, ora possiamo concorrere alla pari con altre organizzazioni sociali ed economiche al rilancio del Paese». 
 
Stadi
«Non so se è un pregiudizio. Ma certamente qualcuno fa fatica a comprendere quale rigore, quale qualità, quale responsabilità il calcio è in grado di mettere in gioco. Ci è stato detto che bisognava aspettare la riapertura delle scuole, adesso spero che i riscontri positivi ci consentano di parlare di riaprire gli spalti. Certo, mi dispiace che ancora una volta l’Italia vada a rimorchio di esempi che arrivano da altri paesi, come la Germania». 
 
Conte? 
«Ho molta fiducia nel premier, che ho incontrato con grande piacere. E ho fiducia nei ministri della Salute e dello Sport. Ma la fiducia richiede risposte in tempi brevi. Perché c’è un protocollo di grande qualità, e ci sono tutte le condizioni per una riapertura parziale». 
 

Covid?
«Non mi sento di condannare i calciatori. Sono giovani. Come tanti nostri figli, dopo mesi di clausura hanno sentito il bisogno di fare la loro vacanza. Ma se guardate i numeri, l’incidenza del contagio nel calcio non è stata eclatante. Siamo l’unico Paese che ha portato a conclusione tutti i campionati professionistici. Con l’impegno di tutti, arbitri compresi. Che ringrazio di cuore. Quanto ai club, sanno bene che devono tornare ad applicare alla lettera i protocolli. Daremo ancora prova di serietà». 

Gravina sulla final 8

Serie A? 
«Ci sono approfondimenti da fare. Toccherà a Dal Pino istruirli, e poi decidere insieme con i club. Ma una cosa è certa. Per vendere bene i diritti tivù, si deve offrire un prodotto appetibile. E per offrire un prodotto appetibile, non si può avere paura del cambiamento. Nessuno ti dà più risorse per uno spettacolo che non riscontra sempre maggiore appeal nel pubblico».  
 
Final 8? 
«A me pare che le gare internazionali stiano crescendo di anno in anno. Noi invece non riusciamo a cambiare al nostro interno. Si teme che i play-off penalizzino le società che sono abituate a vincere e che investono di più». 
 
Non è così? 
«No, se se costruisci un campionato che affascina ogni giorno. Il nostro rischia di perdere pubblico, se in alcune fasi non è più decisivo per squadre che hanno già acquisito un risultato di retrocessione o di salvezza, o di piazzamento. E a quel punto non vale più chi vince o chi perde. Ma uno sport dove non si vince e non si perde non ha senso».  
 
Qual è il modello che ha in testa? 
«Sto lavorando a un campionato diviso in tre fasi, con una final eight per assegnare il titolo». 

Gravina (Getty)
Gravina (Getty)