Quel Mondiale 1978 in casa, che Maradona non disputò e che portò Mario Kempes sul tetto del mondo. L'avventura di Diego a Barcellona e gli anni esaltanti a Napoli, ma anche la solitudine della stella: l'ex attaccante albiceleste alla Gazzetta dello Sport racconta il Pibe de Oro, all'indomani della sua scomparsa e del saluto dell'Argentina al suo simbolo.

Maradona e l'assenza al Mondiale '78

"Io ero partito per Valencia nel 1976, quando s’iniziava a parlare di questo ragazzino che faceva meraviglie. Quando torno nel ‘78 per giocare il Mondiale Maradona è già famoso. Maradona aveva 17 anni ed era un “problema” per Menotti che pensò con la testa e non con il cuore. Menotti aveva paura di esporlo eccessivamente visto che giocavamo in casa, di caricarlo di un peso grande e rischioso, soprattutto in caso di fallimento. Aveva il suo gruppo costituito e preferì non alterarne l’equilibrio. Prese una decisione ed ebbe ragione, poi si portò Diego al Mondiale Under 20 dell’anno dopo in Giappone: esplose e iniziò la sua fama mondiale".

Maradona, botte a Barcellona e stelle a Napoli

"Il problema fu che sbarcò in Spagna come un fuoriclasse: fuori dal campo non gli perdonavano nulla e in campo lo picchiavano senza freni, finché non gli ruppero una gamba. Nessuno pensava a proteggere le stelle. Il passaggio al Barça non fu alla sua altezza, poi però andò al Napoli e Diego risorse e si elevò altissimo. Era il Maradona che si prende la squadra sulle spalle, che trascina tutto e tutti, che s’identifica e guida la lotta del Sud contro il Nord, che mette il Napoli nel luogo che gli spetta nella gerarchia del calcio italiano. E che vince il Mondiale. Fino all’antidoping. Lì tutto finì, si chiude la straordinaria carriera di Diego. La squalifica spezza la sua traiettoria. Quindici mesi senza giocare, troppi per chiunque. Tornò, ma non era lo stesso".

Kempes: "Diego, tanta gente intorno ma..."

"Durante tutta la sua vita, Maradona non è stato protetto e lui non fu in grado di proteggersi da solo. Perché non ha avuto un’infanzia, a 16-17 anni era già famoso, e da lì fu un costante assedio alla sua persona. Lui era felice solo in campo, senza giornalisti o gente che lo asfissiava, senza autografi e foto. Una volta uscito dallo stadio entrava in carcere, perché non poteva nemmeno camminare, doveva rinchiudersi. L’unico momento nel quale poteva uscire senza essere visto né infastidito era la notte e ovviamente non è granché positivo. È stato circondato da tanta gente ma mai da un amico vero, uno che gli dicesse “basta così, andiamo a dormire, andiamo a riposare”. La notte è piena di amici che nemmeno conosci. Sono certo che tra tutti quelli che gli sono saltati al collo approfittando della situazione c’era qualcuno che ha provato a dirgli qualcosa e lui non gli ha dato retta, la sua personalità era molto forte. Per una ragione o per l’altra saltarono i freni. E Diego finì contro un muro".

Getty Images
Getty Images