Ha raccontato l'uomo e il mito, le gioie e i dolori, il rumore e il silenzio: il regista premio Oscar Asif Kapadia, autore dell'intenso documentario Diego Maradona, incentrato sugli anni dell'argentino a Napoli, racconta alla Gazzetta dello Sport a una settimana dalla scomparsa del Pibe de Oro il valore dell'esperienza umana e calcistica dell'ex fuoriclasse in azzurro.

Kapadia, il doc su Maradona

"Persino qui a Londra ho notato una reazione sorprendente. Per tanto tempo l’opinione pubblica è stata piuttosto severa con lui, ma ora ho potuto cogliere un sentimento di amore autentico, di rispetto per tutto quello che ha fatto. La gente ha capito quanto questo ragazzo sia stato straordinario. Anche chi ha provato ha ricordare l’ingiustizia di quella famosa Mano de Dios che tanto male ci ha fatto è stato respinto. E forse, in minima parte, pure il mio film ha contribuito a cambiare la percezione che gli inglesi avevano di Diego, hanno compreso quanto fosse difficile essere Maradona. Due anni dei suoi equivalgono a dieci dei nostri...".

Maradona, grandezza e solitudine

"Quando l’ho incontrato, tra il 2016 e il 2017, viveva a Dubai ed era completamente solo. L’ho vista con i miei occhi la sua solitudine, che si contrapponeva alla fama travolgente. Ha sempre riunito in sé gli estremi, spesso con la stessa intensità. Da giocatore è stato molto altruista, lo dimostra l’amore di tutti i suoi compagni. Era un uomo di squadra, in prima linea anche per difendere stipendi e condizioni della categoria. Certo, un giocatore con un passato difficile come il suo che si ritrova da giovanissimo al centro dell’attenzione di tutti, può avere difficoltà a dire no. Una cosa è quello che si fa sul campo, un’altra è sapersi gestire fuori. Lui è sempre stato una complessa contraddizione, era un ragazzo di strada diventato il più grande di tutti. E questo è uno degli aspetti che più mi ha attratto della sua storia. Quello che ha fatto con il Napoli poi è stato incredibile, anche se penso che molti, argentini compresi, non ne abbiano davvero la consapevolezza. Tutti pensano al Mondiale dell’86, ma quello che è venuto dopo per me è stato ancora meglio: era un fenomeno. E nessun giocatore oggi farebbe le sue scelte, nessun big andrebbe in un club senza neanche uno scudetto in bacheca. Lui sì. E ha vinto. Ha vinto contro Platini e Agnelli, ha vinto contro tutti".

Scudetto a Napoli, più che la vittoria mondiale

"Diego è stato il ponte tra campioni del passato come Pelé o Garrincha e i Messi e Ronaldo di oggi. È stato il primo calciatore a conquistare mediaticamente il grande calcio europeo, il primo con un vero manager e un personal trainer, il primo ad avere 80 mila persone allo stadio per una presentazione. Era avanti. Ha smosso gli sponsor, protestato contro il sistema, preteso contratti pesanti. È per lui che oggi i giocatori hanno stipendi altissimi. È stato l’artefice del calcio moderno, senza non ci sarebbero state superstar".

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