C’è stato chi ha detto che questo è stato un campionato divertente, combattuto come non succedeva da tempo. Nonostante questo potrebbe essere parzialmente vero, c’è pure che è stato un torneo al ribasso. Se la squadra che attualmente è considerata la favorita si è potuta permettere il lusso di “sospendersi” per due mesi, allora vuol dire che dietro c’è stata un corsa di occasioni mancate e di finte grandi. Solo il Milan ha tenuto, con una continuità, dati alla mano, addirittura più rassicurante di quella dei nerazzurri.

L’Inter da metà gennaio a metà marzo ha vinto due partite: Venezia e Salernitana (entrambe in casa), con tutto il rispetto. Per oltre due mesi la squadra di Inzaghi non ha espresso gioco, racimolando una media di 1,1 punti a partita. Una media più o meno da retrocessione. In qualunque altro campionato nazionale europeo, tra quelli che contano, una squadra che per otto settimane fa registrare una media retrocessione può dire addio alla vittoria finale, se non addirittura a un piazzamento in Europa. 

La Serie A di quest’anno, invece, ha mostrato un’immobilità diffusa che ha coinvolto, tranne il Milan, tutte le altre tre attualmente tra le prime quattro (e i distacchi dicono che dovrebbero restare queste anche alla fine). Il Napoli ha abbassato il rendimento in maniera molto sensibile negli ultimi due terzi di campionato, abbassando la media punti in maniera assai evidente. Nonostante questo abbassamento, i partenopei hanno comunque avuto più volte la possibilità di ritornare primi in classifica, fallendo sistematicamente, fino al crollo finale nelle ultime tre gare di campionato.

La Juve per il titolo non è mai stata in gioco, al di là di quello che hanno voluto raccontare la solita parte di stampa. Senza contare che i bianconeri si qualificheranno per la Champions grazie a un campionato stanco e affaticato dell’Atalanta, a una Roma deludente e a una Lazio ancora più dimessa di quanto ci si potesse aspettare. Altre rivali, di altre annate, avrebbero sovvertito e condotto la classifica in ben altra misura.

Se si considerano i duelli scudetto degli anni addietro, nonostante il dominio della Juve in alcuni campionati, i numeri dicono di corse al titolo nel vero senso della parola, con la necessità per le rivali di turno di non potersi permettere nemmeno un pareggio. I Napoli di diverse stagioni fa lo testimoniano, come la prima Roma di Garcia. Non è un calcio di pochi anni fa, ma sembra trascorso un secolo da un livello molto più alto e da competizioni molto più serrate.

Sarà l’affaticamento dovuto a percorsi stagionali senza interruzioni (causa il periodo pandemico), sarà l’impossibilità concreta di fare mercato, o altri aspetti che sfuggono o che si mimetizzano, ma si ha l’impressione che questo campionato si sia trascinato in maniera affannosa, anche da parte di chi lo vincerà. Tutto, Roma e Atalanta escluse, senza che nessuna delle cosiddette grandi abbia fatto chissà quale cammino europeo. Lo stress sembra essere arrivato più per incapacità di trovare continuità che per il reale livello d’impegno. A sostegno, forse, della teoria secondo cui fare a meno di una competizione può giovare a un’altra.

In Europa le grandi sono tali perché, grazie ad organici più solidi e organizzazioni tecniche e societarie più all’avanguardia, riescono a concorrere per più traguardi. La fatica si combatte con l’impegno e l’entusiasmo si alimenta con gli obiettivi. Del resto, una regola antica della competizione sportiva.