Come approfondito ieri, alcune squadre di Serie A hanno le mani legate sul mercato per via dei vincoli sugli extracomunitari acquistabili. Questa regola impone alle squadre nostrane di poter prendere al massimo due calciatori provenienti da Paesi non facenti parte dei 28 paesi dell'Unione Europea o da Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. Di questi due calciatori, uno deve essere un nazionale, l'altro deve arrivare in sostituzione di un altro extracomunitario ceduto all'estero nella stessa stagione.

Risulta subito evidente l'illogicità di una regola che ha come fine quello di spingere le squadre di club a puntare sugli italiani, ma che poi non può, giustamente e doverosamente dopo la sentenza Bosman, metter limitazioni a giocatori provenienti da altri 31 nazioni. Anzi, l'Italia viola in verità il disposto altre due sentenze, sempre della Corte di Giustizia Europea, quelle sul caso Malaja e sul caso Kolpak che, in sintesi, aprono le porte dei club comunitari, di qualsiasi sport, anche ai giocatori aventi nazionalità di paesi che hanno accordi di libero scambio con l'Unione. Rispettarla, come si dovrebbe fare, significherebbe non mettere limitazioni a circa un centinaio di altri Paesi, l maggior parte da Africa ed est Europa.

Appurato quindi che non serve a nulla se non, appunto, a limitare la scelta dei club in fase di calciomercato, andiamo a vedere qual è la situazione negli altri top campionati europei:

-Inghilterra

Nel campionato più conservatore vige la regola dei permessi di soggiorno per i calciatori non facenti parte dei 31 paesi di cui sopra. Questi sono rilasciati solo per i giocatori di alto profilo e che possono dare un contributo al campionato. L'altezza di questo profilo viene misurato in base alle presenze in nazionale, secondo un sistema progressivo di presenze negli ultimi due anni in base alla posizione nel Ranking Fifa, più la nazionale è in alto e meno presenze sono necessarie, ma solo fino alla posizione 50 (qualche anno fa era 70, poi abbassata senza motivo sfruttando l'onda Kane). Per i giocatori che non rispettano i criteri o la cui nazionale è sotto la posizione 50 nel ranking vanno assegnati dei punti in base al costo del cartellino, allo stipendio, al livello della squadra di provenienza per decidere sul permesso di lavoro. Un sistema cervellotico, oltre che inutile. Molto più utile il numero minimo richiesto di giocatori provenienti dal vivaio del club e nazionale (4+4 come in Italia e per le coppe europee).

-Spagna

Situazione molto diversa in Spagna dove non si tiene conto dei giocatori non europei acquistati, ma di quelli iscritti nella lista dei 25 per il campionato. Possono essercene al massimo tre, ma la regola incide molto meno poichè sono equiparati ai comunitari i giocatori provenienti da paesi firmatari di trattati di libero scambio. Inoltre i giocatori escono dal conteggio dei tre dopo 5 anni di militanza in Spagna che diventano due per le nazioni ex colonie spagnole come quelle sudamericane.

-Francia

Anche qui, come in Spagna, non si guarda agli acquisti, ma ai giocatori da poter schierare e i posti sono 4. Anche qui sono equiparati ai comunitari i giocatori di paesi firmatari di accordi. Dopo 5 anni di residenza in Francia, si può richiedere la cittadinanza.

-Germania

In Germania non c'è alcun limite sugli acquisti di giocatori non comunitari. Non c'è nemmeno il limite dei 25, ma solo quello dei calciatori cresciuti nel vivaio, 4+4 come quasi ovunque. 

Non adottano restrizioni per i non europei anche altri campionati importanti come Portogallo, Belgio e Olanda (quest'ultima richiede solo un salario minimo).

A parte Inghilterra e Italia quindi, quasi tutti adottano un sistema piuttosto aperto che non sembra incidere sul valore dei club o della nazionali. L'Inghilterra da esempio non può funzionare perchè è economicamente molto più forte e i problemi tecnici vengono fuori già in Premier al di sotto delle grandi.

Così come in Italia, nonostante i limiti che quindi non aiutano Mancini e non fanno altro che danneggiare i nostri club. Molto meglio quindi lavorare sui vivai e facilitare l'inserimento dei giovani ridando credibilità alle serie inferiori, a partire dalla bassa Serie A, ai minimi storici. E togliere le restrizioni medievali e illegittime che però purtroppo incontrano, in questo momento storico, un ingiustificato consenso popolare costantemente alimentato solo per tornaconti politici.