Freddy Eusébio Gustavo Rincón Valencia, per esteso. Non ha vinto nulla. Nella sua carriera alla voce trionfi c’è il numero zero. Da calciatore non è durato più di una stagione nelle squadre dove ha militato. Uniche eccezioni il Corinthians e l’America de Cali, il club della città dove sarebbe scomparso a causa di un incidente stradale, più precisamente la Sociedad Anónima Deportiva América. Un nome da cartello criminale, come i tanti, troppi, passati alla cronaca in quella Colombia martoriata da una condanna perpetua della modernità.

Tra la droga e i narcos e un sistema di corruzione così radicato da invadere tutto, pure le reputazioni. E lui della sua reputazione aveva fatto discutere quando nel 2007 era stato arrestato e indagato per reati riconducibili proprio a quello che col tempo è diventata un’onta da tradizione per chi proviene da quelle parti. 

Non ha vinto nulla. Eppure, con la sua nazionale ha disputato tre campionati del mondo, tra il 1990 e il 1998, con quella Colombia sortita a impadronirsi della scena sudamericana grazie ai suoi funamboli in ogni zona del campo, da Higuita a Valderrama, fino al tragico epilogo del mondiale statunitense, finito con l’omicidio di Andrés Escobar, "reo" di aver segnato nella porta sbagliata nella gara che era costata l’eliminazione ai colombiani.

Non ha mai vinto nulla, Freddy Rincon, che nella sua carriera piena di casacche ha fatto la meteora pure a Napoli, rievocando un genere di calciatori destinati a scomparire. Quelli fuori ruolo perché un ruolo non ce l’hanno, quelli che in campo andavano dove volevano, perché magari erano in grado di risolverti una partita quando meno te lo aspettavi.

Tra le sue permanenze fugaci c’è pure un’annata con la maglia del Real Madrid, tra il 1995 e il 1996. Qualche dribbling, nessun goal e poca traccia. Eppure lui era uno che è saputo entrare nella storia del calcio colombiano pure con poco. Un poco valso una segnatura storica in una gara con la Germania a Italia’90 e una doppietta ancora più storica in una partita contro l’Argentina.

‘El Coloso’, così era soprannominato, dava spesso un’impressione indolente e trascinata, ma sempre in grado di tirare fuori una giocata a sensazione. Il colore a quel futbol rigoroso che ogni tanto ha bisogno di prendersi una pausa mascalzona. Il genio pigro. Sostanzialmente, inutile. Tuttavia, in grado di saper fare la cosa più importante per la parte vivissima e incontrollabile della passione calcistica: essere ricordato.