In principio fu Mertens a Firenze. Un po’ come quello di Crotone aveva accompagnato un paio di stagioni prima una di quelle annate che gli almanacchi non sanzionano, ma che soltanto certe memorie possono ricordare come andrebbero ricordate. Quel rigore erroneamente assegnato, che agli occhi e alla memoria, appunto, di molti non ha fatto il paio, in maniera disonesta, con quello altrettanto ingiusto (soprattutto se confrontato con episodi successivi) di cui la Fiorentina aveva beneficiato poco prima, ha dato il là al contrappasso di un Napoli che quest’anno in campionato non si è soltanto fatto del male da solo, ma si è sottoposto a una serie di arbitraggi destinati a lasciare il segno. E non poco.

L’elenco delle partite condizionate da errori arbitrali è lungo. Ballano calci di rigore non assegnati e altre decisioni discutibili. Siano esse assolutamente sbagliate (senza relazionarle ad altri episodi o precedenti) o relativamente incongrue (se paragonate a decisioni prese in maniera opposta in altre partite e per altre squadre). Al Napoli manca un potenziale da quindici punti almeno. Non mancano quindici punti, ma la possibilità di averli potuti conquistare. Nel calcio il danno non arriva sempre certo, ma arriva quasi sempre nella negata possibilità di sapere come sarebbe andata a finire senza quel danno. E valga per una valutazione che deve imporre il silenzio pure a chi parla di aspetti tecnici e mentali. Basta con questa retorica buonista e perbenista. Un conto sono il comportamento, la forza psicologica, la spinta fisica e atletica, gli entusiasmi di chi corre e compete col giusto in tasca, senza penalizzazioni esterne, un altro è dover combattere col mancato addosso. Una volta, due, tre, poi si scoppia, ci si arrende. È la natura delle cose, è nell’ordine antico farsi affliggere quando si capisce che le cose devono andare storte. Figuriamoci per dei calci a un pallone dati da ragazzi di vent’anni.

Al di là del putiferio a cui società e calciatori hanno contribuito in maniera irresponsabile, il campionato del Napoli, quest’anno, è di quelli che “Non sapremo mai come sarebbe andata a finire”. Il rigore non concesso a Milik nella gara col Lecce, con l’arbitro richiamato dal VAR e comunque sicuro di sé, “Ho visto io” (e ha visto molto male), è l’emblema di un martirio che si incastra alla perfezione dentro una serie A in cui di domenica in domenica vengono assegnati rigori generosi e negati penalty evidenti anche senza l’aiuto della moviola. La lega, l’AIA e gli organismi federali stanno mandando in scena un campionato vittima di un conflitto politico tra chi il var lo ha voluto e chi invece l’ha sempre osteggiato.

Questa faida che decivilizza lo sport nazionale più popolare sta creando le condizioni per distruggere definitivamente il calcio italiano. Il sistema giurassico posto a capo di esso pensa sia sufficiente far sì che club e atleti di Stato siano continuamente favoriti e coccolati dalle procure dello star system? Questa formula passa per le sortite di quelli che, di tanto in tanto, prendono per i fondelli gli appassionati con convegni, stage e altre ipocrite assemblee dove l’arbitro autorevole di turno si presenta con tutta la sua aria glamour e impunita mettendosi a pontificare su protocolli ambigui e poco chiari, che, sistematicamente, la domenica successiva non vengono nemmeno applicati. Questa cultura della presa in giro passa per l’arroganza di vertici politici del pallone che, reduci dai tempi più bui della storia sportiva recente, dividono e imperano con dichiarazioni maleducate e tracotanti. E giù con questa plastificazione del calcio. I fossili si sono animati per parlarci di progresso. Continueranno a governare questo teatro degli orrori anche quando non ci sarà più nulla da governare. Una specie di istituzione ecclesiale in mise da papi neri ha sfidato l’eternità.

Perché il calcio non compie la cosa più ovvia e civile che la legge stessa (che brutta parola addosso a questo sport) ha cercato di costruire e garantire altrove? La trasparenza. Un’ombra di improvvida discrezionalità aleggia ancora sul calcio, in particolare quello italiano. Ancora a chiedersi come funzioni, come e quando l’arbitro faccia o meno intervenire il var, come e quando consultarlo. A volte, e il Napoli (ma non solo il Napoli) quest’anno è stato spesso vittima di questo, gli episodi sono lì, chiari, supportati dalla moviola, ma non si interviene per cambiare la decisione perché l’arbitro ha visto. A Genova con la Sampdoria l’arbitro aveva visto anche il fallo subito da Politano nei minuti finali? Probabilmente, e da verificare (al var, appunto) se quel fallo, nettissimo, sia avvenuto sulla linea (molto probabile). Invece, giallo a Politano. In quel frangente nessun danno, perché il Napoli quella partita l’ha vinta comunque. Col Lecce, stessa situazione, ma in piena area. Il rigore c’era, sul 2-1 per il Lecce, e stavolta quella mancata concessione ha potenzialmente condizionato l’andamento della partita.

E si potrebbe continuare, anche andando a guardare in altre gare. Anche a chiedersi come mai presidenti e dirigenti si indignano quando vengono colpite le proprie squadre, ma senza provvedere, senza chiedere di riformare organismi e sistemi federali, senza dire all’oggetto di proprietà delle persone (perché il calcio è pagato da tutti i suoi appassionati, anche quando non appare direttamente così) di funzionare nel rispetto delle persone.

Al di là di chi vuol crederci perché gli fa comodo, di chi è infastidito da certe rimostranze ponendosi con quel senso ipocrita e snob della sportività, di chi accetta e vede tutto pulito perché si è accomodato dalla parte della ragione e dei vincitori, come quando si scrive la storia, una domanda andrebbe fatta a tutti. Voi a tutto questo credete? E credete che tutto questo avvenga sempre in buona fede? Però, accompagnando la domanda con un avviso. La malafede sporca e rovina tutto anche se passa una volta soltanto.