Anno 1879, le prime due rivoluzioni industriali sono ormai compiute e hanno cambiato per sempre il mondo. Nel frattempo, con la guerra boera alle porte, conflitto che impegnerà l’impero britannico, la storia della letteratura saluta l’uscita de I fratelli Karamazov. Intanto, in Inghilterra, il calcio, da appena nato, inizia a correre pure fuori dal terreno di gioco. Comincia a farsi sentire sul piano politico, economico e culturale. Il pallone sa che non è più una faccenda soltanto inglese e della sua classe dominante. E sono i diretti interessati a doversene rendere conto. L’ultimo passo da compiere prima che “il gioco” prenda il largo per coniugare il suo verbo negli altri continenti.

The English Game è la serie televisiva, ideata da Julian Fellowes, Tony Charles e Oliver Cotton, che racconta la genesi e lo sviluppo di quella presa di coscienza che, nonostante tutto, è destinata a portarsi dentro il monito secondo cui nei fenomeni umani chi possiede, detiene. Pure nel gioco.

La serie, distribuita nel marzo del 2020, racconta le vicende dei club protagonisti della FA Cup, la Coppa d’Inghilterra, e dei suoi protagonisti, tutti irrimediabilmente legati alla propria condizione sociale e finanziaria. Quando James Walsh, proprietario del mulino di Darwen e del Darwen FC, decide di ingaggiare due calciatori, Fergus Suter e Jimmy Love, provenienti dalla Scozia, non sa che l’idea di pagare due giocatori per rinforzare la sua squadra, così da poterle permettere di competere con l’Old Etonians Football Club, team di punta dell’alta borghesia inglese, è destinata a cambiare la storia del calcio. 

La possibilità di considerare un calciatore un potenziale professionista, di fatto, fa sorgere una nuova visione di quel gioco, “the game”, nato come sfoggio estetico e atletico di un gruppo ristretto di borghesi che, come viene evidenziato nella serie, non intende passare la mano ai mutamenti della storia. Tuttavia, la lotta operaia scaturita dalle rivoluzione industriali avverte il football come una grande possibilità di affermazione. La passione popolare per questa disciplina è ragione identitaria per le classi più povere e l’idea che un club operaio possa battere una squadra della borghesia diventa presto uno sprono politico per una conquista che si fonda su una percezione spirituale del gioco del calcio.

Porte senza le reti, squadre che non sono ancora pronte alla sperimentazione tattica, regolamenti molto diversi da quelli attuali sono solo alcuni tra i segni di una semantica futbolistica allo stato primordiale, ma che, in fondo, avverte già la spinta di una tensione che proietta il gioco verso orizzonti che superano gli spalti, attraversano l’attesa di chi sosta fuori dal campo senza poter assistere alle partite, ma attende con ansia le notizie che, di tanto in tanto, arrivano durante le partite (le prime forme di cronaca) e si preparano a un calcio che sarà ragione di investimenti e di progresso.

Il racconto seriale non manca di qualche inesattezza storica, probabilmente intenzionale per fini narrativi. Nella miniserie Suter diventa il capitano della squadra di Blackburn, che sconfigge in finale l’Old Etonians. In realtà, a vincere l’edizione a cui si fa riferimento nella serie fu il Blackburn Olympic, mentre, sempre nella realtà storica, Suter aveva perso la finale nell’edizione precedente con la maglia del Blackburn Rovers. Inoltre, nella descrizione seriale il calciatore scozzese viene inteso come un realizzatore, in un ruolo tra il trequartista e l’attaccante. Invece, il vero Fergus ha giocato nel ruolo di difensore.  

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Tra sponde rappresentate da interni familiari inquieti e contrastanti, nelle quali padri e figli stentano a riconoscersi e il senso della maternità affronta crisi interiori e impreviste rielaborazioni, i protagonisti della vicenda obbediscono, poco a poco, alla conversione che la vita riserva loro proprio in accordo con lo sviluppo che cambierà il gioco. Ognuno di loro, in qualche modo, misurerà se stesso grazie a questa nuova dimensione. Quella di un gioco che sta riscrivendo il senso critico dell’economia, della politica e di ogni altra manifestazione umana. 

Il pallone è destinato a entrare nella tavola periodica del nuovo secolo. A intuirlo per primi sono Fergus Suter (Kevin Guthrie) che, secondo un orientamento prevalente, è stato anche il primo calciatore professionista della storia del calcio, e Arthur Kinnaird (Edward Holcroft), ricco e potente giocatore dell’Old Etonians. I due, dapprima rivali, sviluppano un rapporto di amicizia in cui dimostrano di aver compreso quanto il calcio non possa a lungo restare nelle mani di un gruppo ristretto di persone, ma debba essere in qualche modo destinato a un godimento universale. Dare l’occasione a chiunque di potersi allenare, di poter migliorare il gioco e di poterlo esprimere ovunque, senza impedimenti e discriminazioni di natura sociale, è la ragione nuova e primaria del calcio. Questa nuova posizione comporterà la minaccia di scindere l’atomo generante del gioco, attraverso la fondazione di una nuova federazione. Forme di coraggio che oggi, alla luce degli interessi attuali e dei condizionamenti di nuova generazione, non sarebbero contemplabili.

L’allineamento, però, anche in The English Game non potrà sottrarsi alla consapevolezza, che sarà testimoniata dai decenni successivi oltre ogni volontà psicologica, che il potere resta l’entità, in tutte le sue forme, che avrà sempre maggiori possibilità di successo. Che esso, sia sotto forma finanziaria, politica o di altra natura, sarà sempre in grado di poter determinare la direzione degli eventi.

Quello che più di ogni altra cosa sopravvive nell’animo dei protagonisti è l’aspetto più delicato e sensibile di questa nuova percezione. Che questo gioco possa tener conto della felicità delle persone. Il ventesimo secolo, in cui il calcio diventerà definitivamente il calcio, metterà a dura prova l’umanità. Pure nel gioco.