Cesc Fabregas, allentore del Como, ha parlato nel corso di un'intervista concessa al Corriere dello Sport tornando sulle voci sul suo futuro.
Intervista a Fabregas
Maestro? «Io tra Pep, Mou e Conte ma cresciuto con Wenger. Arsène è stato il più importante, otto anni che non dimentico Il resto lo devo a tre fenomeni che non sono così distanti come molti pensano. Il mio futuro lo deciderò a fine stagione quando mi confronterò col club. Altri mi hanno cercato, lo trovo normale»
Futuro?
«Sono giovane e credo di sapere come gira. Quando José scherzava con noi ripeteva “non mi frega niente dei momenti brutti, visto che mi mancano trent’anni da allenatore”, ci faceva capire che è un lavoro molto usurante. Guardiola si è fermato un anno, e Mourinho una volta sei mesi».
Autonomia in un grande club?
«Non lo so, è presto per parlarne. Io ti posso raccontare solo la mia esperienza a Como dove siamo un gruppo. Il presidente, il direttore Charlie ed io. E poi c’è Osian Roberts, che è un po’ il responsabile del settore giovanile, una persona della quale mi fido ciecamente e che tante volte mi è d’aiuto sui temi più delicati. Sì, sono molto fortunato perché qui mi garantiscono tanta libertà».
Bel gioco?
«Ci sono tanti modi di fare calcio e non se ne può escludere uno. Simeone vince alla sua maniera, Guardiola alla sua, così come José e Conte. Io mi adatto a quello che abbiamo e poi provo a trovare tutte le soluzioni per andare a vincere. Però è vero che stiamo giocando praticamente il 70% della stagione con Da Cunha, Perrone e adesso Caqueret a centrocampo che sono esterni, numeri 10, numeri 8, non c’è un play tipo Rodri del Manchester City, o Paredes, uno che è più fisico e posizionale. Questa te la racconto».
Stile?
«Dopo aver vinto la B mi ritrovai a cena a Trento con Pecchia e Capello. Fabio mi disse: “Cesc, adesso non puoi più giocare così eh, adesso ti devi difendere di più”. Insistette sulla difesa, difesa, difesa. Quella sera andai a dormire più convinto che mai».
Di cosa?
«Che avrei seguito la mia strada e la mia filosofia».
Conte?
«Antonio è un fenomeno, un fenomeno. Potrei giocare e allenare giorno dopo giorno come fa Antonio? Sicuramente no. Però ho imparato tantissimo».
Guardiola?
«E a Mourinho anche, io l’ho ripetuto in tante interviste. Mourinho e Guardiola diversi? Ma diversi in cosa? Sul campo forse, ma fuori sono malati di vittoria».