A Milano sono andate in scena le esasperazioni per le esasperazioni. E forse pure Antonio Conte ha contribuito ad alimentarle. Perché, sempre consapevoli che dall’esterno è facile e avventato parlare, qualcosa spinge l’allenatore del Napoli a otturarsi dentro un sistema di gioco che conta sui pezzi pregiati, ma in fondo non li ottimizza.
Con un gran numero di impegni sarebbe un’eresia ipotizzare di far ruotare quella linea mediana che tanto aveva spaventato gli avversari all’inizio? Consumarli insieme a Politano costretto a fare da moto perpetuo su quella fascia a dispetto degli esterni trequartisti relegati troppo a lungo in panchina può funzionare a lungo?
Mostrare la faccia duttile di un organico arricchito, con moduli diversi, a seconda degli avversari, sarebbe più semplice per il Napoli e più complicato per avversari che non avrebbero più punti di riferimento?
La squadra di Conte col Pisa e col Milan è sembrata più aggredibile. Non tanto nel confronto tecnico, ma nella vulnerabilità tattica. A Milano i rossoneri hanno colpito in due occasioni su tre. Sono arrivati soli davanti alla porta negli unici tre tentativi di tutta la gara. E non è stato l’uno contro uno di Pulisic su Marianucci a svelare il vizio di forma dello schieramento azzurro, ma la possibilità troppo semplice di scavalcare le linee del Napoli, poco compatte e aggressive quando è servito. A dispetto di quelle caratteristiche che questo Napoli ha sempre mostrato.
Qualcosa potrebbe anche aver dato la sensazione che Conte a Milano abbia giocato le sue carte anche pensando già allo Sporting? Aspetto di certo plausibile, ma non nella direzione di condizionamento di alcune scelte. Accadde già lo scorso anno nella doppia sfida di Coppa Italia e campionato con la Lazio. Ampio turnover nella gara di Coppa in vista di un risparmio energetico per quella di campionato. Risultato, sconfitta in entrambe. A Milano, certo, è stato diverso, c’erano molte, troppe assenze in difesa, ma quella di Beukema tra i titolari, per esempio, ha avuto quel sentore. Come, forse, il cambio non del tutto condivisibile, di De Bruyne.
Tuttavia al di là di facili e comodi giudizi, l’impiego di quella che è stata battezzata la Fab Four inizia a dare i segni di un meccanismo logorante invece che esaltante. Non che l’idea sia fallimentare, ma, chissà, forse sarebbe vincente se si alternasse ad alternative più frequenti, dall’inizio o a gara in corso. E possibilmente senza tentativi di emergenza.
Certo è che chi guarda con tagliente diffidenza questo Napoli si iscrive alla lista delle esagerazioni, ma è anche vero che da Manchester la squadra di Conte sembra aver smarrito quella solidità mentale che era la sua forza numero uno. Senza esitazioni, senza fronzoli e forzature. Senza quella fragilità individuale che inevitabilmente ricade su un’intera prestazione. Un paradosso di fondo rispetto al fatto che, nonostante certi errori, il Napoli riesce comunque a impadronirsi di larghi tratti di partita. Forse Antonio Conte dovrebbe dare nuovo orientamento a questa forza.