Mi sfottono per l'accento, per i modi, ppè qualche parolaccia. Se lo dice Valentino Rossi, col suo dialetto, tutti ridono; se lo dico io, sono un coatto, un ignorante, un burino. Forse dispiace che un giocatore importante stia a Roma e non altrove. Il potere del calcio non è un'esclusiva del Nord, ma la musica è sempre la stessa: noi romani siamo viziati, pigri, prepotenti. La pensino come vogliono, io sono nato romano e romanista. E così morirò.

Francesco Totti, 2002

 

“Eccoci qua. E tu, Roma, che fai, dormi?”

No, Francé, Roma non dorme mai. Soprattutto Roma tua. Quella che t'ha cullato d'amore e che tu hai amato sin da quando eri nella culla.

Perché Roma ama, Roma brama, Roma - e tu lo sai bene - trascina nel suo vortice empatico, invasivo e tentacolare di passione. E lo fa chiedendo d'esser ricambiata. Come tu hai fatto. 

Se Roma dorme, lo fa solo per svegliarsi ancor più innamorata. Ecco perché la domanda che Francesco, nel documentario biografico di cui l'ex capitano giallorosso è di fatto anche co-regista, è solo retorica.

Se lo chiede, nel silenzio di un'alba capitolina che pare ritratta da Renoir, un capitano mai così fragile, che inizia a raccontare il suo giorno dei giorni. Quello del triste termine della sua storia in campo, e del commovente finale del suo "Mi chiamo Francesco Totti" (Vision Distribution, 2020, da qualche giorno anche su Sky e Prime Video). Oltre 100 minuti di vita e di pallone che il cinema quasi mai è riuscito a fotografare in maniera così lucidamente introspettiva e senza mai andare né sopra le righe, né fuori dal seminato.

Merito della solita mano raffinata di Paolo Condò - che con Totti ha scritto "Un Capitano", l'autobiografia da cui è tratto il film - , ma anche di una regia, quella di Alex Infascelli, che ha saggiamente preferito l'approccio narrativo più immediato ma anche più efficace, per far vivere allo spettatore un'esperienza che nasce intimistica e diventa, fisiologicamente e progressivamente, mistica. Francesco è difatti protagonista e voce narrante non solo della sua storia, ma anche di sé stesso. E la separazione tra personaggio, persona e calciatore, inevitabilmente, diventa man mano sempre più impercettibile, come sempre lo è stata anche durante la sua carriera.

Perché è schietto, genuino, è 'de borgata'. Ma anche passionale e fumantino. Perché umano, e quindi pieno di difetti.

Insomma, è Francesco. Un ragazzone e un calciatore a cui non si può non volere bene, a prescindere da quanto, o quanto poco, si possa essere romani e romanisti. E a cui non si potrà non volerne ancor di più, dopo aver visto questo lungometraggio in cui le esperienze personali, le vicende familiari, e le imprese sportive sono dosate e intrecciate con cronologica sobrietà.

Senza trascurare - rapporto con De Rossi a parte, che, però è sempre stato molto intimo e riservato - nulla, di ciò che Totti sente parte imprescindibile dei suoi primi 41 anni, e che il sottoscritto invita tutti a gustarsi, con leggerezza sì, ma anche lasciandosi andare all'emotività, quando necessario. E il momento giusto per farlo è proprio quando la strada ascendente si interrompe, e l'imbocco drammaturgico vira, inevitabilmente, nella direzione che tutti conosciamo e abbiamo condiviso, discusso, vissuto: il ritorno di Spalletti sulla panchina della Roma, e la decisione, mai così sofferta, di dire, e dirsi, basta.   

La famiglia. Roma, 28 maggio 2017 (getty)

 

Personalmente ho provato sensazioni simili, rispetto a quel 28 maggio 2017, solo il 31 maggio 2009 e il 16 maggio 2004. Nella prima occasione ero allo stadio, a Firenze, in silente venerazione e all'accorato cospetto delle braccia alzate al cielo del più grande difensore della storia del calcio. 

Nella seconda, invece, a casa, davanti alla TV. Sforzandomi di immaginare il più grande calciatore italiano di ogni tempo, seduto negli spogliatoi, da solo, a svestirsi dell'armatura, contemplare le sue cicatrici e dire all'amico di sempre, Vittorio Petrone, "Ho dato tutto. Sono felice". Un evocativa never ending story che qualche tempo dopo, quando quel film che mi ero fatto in mente ho ritrovato qui, mi suscitò un tornado emozionale che solo le lacrime riuscirono a far straripare.

E che, all'epoca, mai avrei pensato di poter nuovamente versare. Almeno per un calciatore.

Ilary. Roma, 28 maggio 2017 (getty)

 

Le convinzioni, però, soprattutto quelle più inconfessate e private, sono fatte per essere sradicate, stravolte e sputtanate dal proprio destino.

Ecco perché, tre anni e mezzo fa, ho pianto nuovamente. E mi è successo anche ieri sera, nel rivivere quel momento di definizione assoluta, in cui però - come già mi era accaduto per Baggio - il suo punto di vista di quei momenti s'è sovrapposto al mio.

E' un rinomato intreccio psicologico, quella della sostituzione della prospettiva, che è consolidato e solenne, e non può non provocare incontenibile trasporto. E, in maniera assolutamente naturale, sono tornato a rileggere quanto scrissi, su queste stesse pagine, all'epoca.

Il mio personale e accorato invito a vedere, per chi non lo avesse ancora fatto, 'Mi chiamo Francesco Totti', finisce qui. Ma essendo anche visceralmente prolisso, non potevo non riproporre, quasi integralmente, quanto mi sgorgò fuori dal cuore il 28 maggio 2017.

E che ieri sera, dinanzi alla TV, ho rivissuto a pieno.

Proprio come Francesco che ha raccontato sé stesso: come pochi altri, sinora, erano riusciti a fare.

Capitano. Roma, 28 maggio 2017 (getty)

 

Da 'Non il 2017 dopo Cristo, ma il 41 dopo Totti'

(www.fantacalcio.it, 28.05.2017)

Aveva 7, 8, 10, 13, 16 anni, Francesco, quando provò a scrivere il libro della sua storia, personale e professionale. Sognava Beppe Giannini. Sognava il calcio, il grande calcio. Il calcio da protagonista, e nella sua città. Sognava di vincere, lo scudetto e il Mondiale. Certo, forse anche qualcos'altro, che comunque ha assaggiato. E tanto basta. Perché Francesco c'è riuscito.

Ha messo la sua intera vita a disposizione di Roma, e ce l'ha fatta. Fino in fondo. Ha tramutato i sogni in realtà, come nella più bella e durevole delle favole. Quelle che si raccontano ai bambini per farli crescere come lui. Quelle che si racconteranno, anche tra cento anni, quando in Italia, non solo a Roma, saremo all'indomita - e probabilmente inutile - ricerca di uno come lui. Come per Maldini a Milano, Del Piero a Torino, Maradona a Napoli e Baggio un po' dovunque.
Non nascerà mai più, in ogni caso, un Francesco Totti. Facciamocene una ragione. Per questo, nel calcio, si ritirano le maglie: ed è giusto che sia così. Perché per quanto il mondo possa evolversi, e per alcuni tratti anche migliorare, nessuno inciderà mai più 'Shine on you crazy diamond', girerà 'C'era una volta in America', dipingerà 'L’ultima cena' o scriverà 'Siddharta'.

Il bello assoluto non cerca eredi né produce paragoni intelligibili: né tantomeno noi comuni mortali dobbiamo affannarci alla loro ricerca. Per questo Francesco Totti resterà. Per sempre.
E ci sarà un prima ed un dopo Francesco Totti. Come per gli altri monumenti del nostro calcio, e della nostra vita, senza via di mezzo. Il durante, purtroppo, è finito oggi. A prescindere da ciò che deciderà di fare, la sua storia finisce qui. Da calciatore altrove, o da dirigente in giallorosso, cambia poco: il suo ultimo cucchiaio l'ha regalato su facebook, giovedi, restando enigmatico ma solenne e sincero, come nella sua natura. Il suo ultimo dribbling in campo, contro un Genoa che deve essere onorato d'averlo affrontato, un'ultima volta, ed al cospetto del suo popolo. Un pubblico che, in ogni caso, deve concedersi solo una lacrima, e poi regalare ai posteri un mazzo di sorrisi.

E sentirsi felici e gratificati per averne goduto lungo un venticinquennio, perché nella città eterna solo tre generazioni hanno potuto farlo. Adesso arriva il dopo Totti, e non sarà mai uguale. Forse similmente epico, diversamente vincente, calcisticamente moderno, ma mai uguale.
Il prima di Totti, a Roma, era certamente meno orgoglioso, meno fiero di sé stesso. Non aveva mai avuto un figlio così illuminato, a cui affidare il proprio cuore ed in cui riporre le proprie speranze. Certo, era un calcio che già aveva conosciuto l'odore etereo ed il sapore fresco e dolce della vittoria, ma senza alcuna delle sensazioni provate nel quarto di secolo tottiano.

Una mini epoca fatta di faticose salite e scoscesi declini, ma soprattutto di emozioni. Quelle di cui l'animo umano, di Francesco e di chiunque ha avuto il privilegio di goderne, si nutre per sopravvivere. E che inevitabilmente ricercherà anche nel dopo Totti, che comincia ufficialmente oggi.

Anno uno, come prima di Cristo e dopo di Cristo (fra l'altro mai esistito in carne e ossa, ma solo come leggenda): 1976, quindi, come anno uno dell'avanti Totti (da ora in poi, a.T.), e 2017 come 41 d.T.. Non me ne vogliano i nazi-cattolici, ma il calcio, per quelli come noi, è una fede. Ed una notazione del genere, evidentemente, rende bene l'idea di quanto possa essere spaesante, più che per noi calcioromantici, il 42 d.T. per la Roma. Che, ovviamente, equivale al 2018.

[...]

Al netto di quello che, dei tifosi, definire solo affetto e riconoscenza è sicuramente riduttivo, Francesco Totti ha ricevuto meno di quanto meritasse. Al Real Madrid ed al Milan che lo hanno corteggiato per oltre un lustro, d'altra parte, avrebbe guadagnato e vinto molto di più. E' per questo che c'è un a.T ed un d.T..

E' per questo che, oggi, la lacrima, pur essendo una sola, contiene dentro un mare intero di bombe dalla distanza, punizioni sotto il sette, passaggi illuminanti, colpi di tacco, rigori a cucchiaio, calci negli stinchi, sforbiciate volanti, dribbling di suola, selfie sotto la curva, sputi velenosi, magliette purganti, raffinate volée mancine, pallonetti sotto la traversa, urli a perdigola, gesti del 4-silenzio-e a casa, fratture del perone, Coppe del mondo, barzellette, pollici in bocca, Scarpe d'oro, Supercoppe, chiome castane, balzi oltre i tabelloni, tunnel pungenti, baci a Ilary, esterni di destro, abbracci ai bambini.

Ma, soprattutto, sorrisi lieti. Quelli che ha regalato in campo e fuori dal campo, fino a delineare i contorni d'un viso oggi con qualche ruga in più e qualche ciuffo in meno, ma con la medesima voglia di far star bene. Come tutti i calciatori che c'erano ieri, ci sono oggi, e ci saranno domani. Per noi, ma soprattutto per chi verrà. A cui cercheremo di spiegare, tramandandolo con la stessa sacralità d'una fede laica, chi era Francesco, e perché il 2017 in realtà è il 41 dopo Totti. L'anno da cui, in avanti, Roma e la Roma cambieranno.
E i ragazzini inizieranno a crescere non solo nel suo nome, ma anche nel suo mito.

Cercando di rincorrere, come fece lui con Giannini, i propri sogni. Affinché il cerchio magico della vita, e del calcio, continui per sempre. Anche senza Francesco in campo.

Caricamento in corso...
Media non disponibile.