Il Napoli ha avuto la sua fase di sedimentazione. L’irrobustimento targato De Bruyne ha perso per strada pilastri e certezze, prima accecando e asfissiando con le polveri della caduta e poi restituendo una visione più chiara a un nuovo equilibrio.
Adesso il trequartista belga, Anguissa, Lukaku e Lobotka, quest’ultimo non molto lontano dal recupero, insieme a Meret e Gutierrez rappresentano la lista d’attesa di un nuovo fronte di attese e rassicurazioni. Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma se il Napoli dovesse riuscire a resistere ancora in questa nuova formula di convinzione il ritorno di quei calciatori varrebbe una nuova campagna acquisti. Stavolta con la sperimentazione e la codificazione di qualcosa che non entrerà in conflitto con la paura per la novità, ma si metterà in linea con un raddoppio delle forze e delle idee.
Almeno questa è la speranza di Antonio Conte, artefice spericolato di una ricostruzione in tempi stretti di qualcosa che sembrava definitivamente compromesso. Atalanta, Roma e Juventus nove punti e vetta riconquistata, insieme a quel Milan che pare voler rassomigliare proprio al Napoli della scorsa stagione.
Soprattutto, un Napoli riassettato in un nuovo modulo e in un sistema di gioco che pare aver dato nuovi splendori a tutti i suoi interpreti. Qualcosa si saranno pur detti nelle segrete stanze. E magari Conte avrà messo davanti alle sue parole di granito un mea culpa sottinteso in forma di rivoluzione. Dalle ceneri ne è risorta una Fenice che ha in Elmas un jolly tattico, in McTominay l’uomo scudetto, in Neres la riproposizione ancora più efficace di quello ammirato nella scorsa stagione, in Hojlund un work in progress in imitazione di Lukaku più se stesso.
E poi Di Lorenzo e Olivera a fare da terzini liberi da quella linea arretrata dove i tre centrali compongono il suggerimento di gioco con la stessa dimestichezza con cui tengono lontani dalla porta gli avversari.
È un Napoli ancora coi calciatori contati. Ma non lo è più negli entusiasmi. La costrizione a ricorrere in chi godeva di meno fiducia ha portato con sé un effetto benefico. Un risvolto positivo in mezzo alla preoccupazione. Ne è venuta fuori una squadra nuova. Non il Napoli della scorsa annata, non quello proposto con qualche certezza di troppo a inizio campionato, non quello che si era male adattato durante la sua stessa tormentata rielaborazione. Un Napoli nuovo e basta. Né figlio né genitore, ma semplicemente rivelatore di possibilità che si erano nascoste, o probabilmente si erano messe in un angolo a rimuginare su timori e sfiducie.
Antonio Conte sa bene che la strada per reggere tutto il peso di quello che verrà è lunga e insidiosa. Che è ancora più difficile del principio di primavera prima del trionfo. Ma sa pure che se questa nuova ceratura saprà resistere, si ritroverà affiancata da qualcosa con cui rendersi ancora più forte. Chissà che quando sarà necessario, a correre saranno più Napoli.