Dalla seconda metà degli anni ’70 alla prima degli anni ’80, per quasi un decennio il calcio europeo ha parlato quasi sempre inglese. Su otto edizioni della vecchia Coppa dei Campioni, prima che diventasse Champions League, sette sono state conquistate da squadre inglesi.

Erano gli anni del grande Liverpool, che nella finale di Roma del 1977 aveva battuto il Borussia M'gladbach, a preludio di un successo ripetutosi alcuni anni dopo a danno della Roma. Erano gli anni della sorpresa Aston Villa, che nel 1982 aveva avuto ragione del Bayern Monaco nella finale di Rotterdam. Erano gli anni dell’unica formazione capace di interrompere quel dominio britannico: l’Amburgo che con il goal spettacolare di Wolfgang-Felix Magath aveva battuto la Juventus nella finale di Atene in cui un autentico monologo bianconero non riuscì a rimontare lo svantaggio. Erano gli anni di quel Nottingham Forest allenato da Brian Clough, capace di vincere due coppe consecutive con una squadra su cui fino a pochi anni prima nessuno avrebbe scommesso qualcosa.

Quel Clough che avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia del calcio internazionale, lo stesso che da solo avrebbe sfidato e battuto le diffidenze di un calcio altezzoso e spietato, il soccer spocchioso e aristocratico degli inglesi. Il Clough che nel 1973, dopo la sconfitta del suo Derby County contro la Juventus, a causa di un arbitraggio a suo avviso favorevole ai bianconeri, rifiutandosi di parlare con la stampa italiana dichiarò senza mezzi termini “No cheating bastards will I talk to; I will not talk to any cheating bastards!” (“Non voglio parlare con nessun bastardo imbroglione”). Erano gli anni di un calcio essenziale, cinico e utilitarista. La camera di elaborazione di un nuovo modo di intendere il futbol e un periodo che avrebbe preceduto eventi drammatici, tragedie destinate a cambiare la storia di questo sport. Una delle finali vinte dal Nottingham Forrest si giocò tra gli inglesi e i tedeschi dell’Amburgo, capaci poi di riscattarsi nella finale con la Juventus pochi anni dopo.

Stadio Santiago Bernabéu, 28 maggio 1980. Nel Forest giocavano quattro scozzesi e un nordirlandese, il celebre Martin Hugh Michael O'Neill. Nella squadra tedesca invece nella formazione iniziale è presente uno tra i calciatori inglesi più conosciuti e apprezzati di quegli anni: Joseph Kevin Keegan, centravanti della nazionale e due volte Pallone d’Oro, nel 1978 e nel 1979. Gli inglesi, campioni in carica, sono approdati alla finale dopo aver battuto l’Ajax nel turno precedente. L’Amburgo, invece, ha eliminato il Real Madrid, rimontando la sconfitta in Spagna per 2-0 con un perentorio 5-1 tra le mura amiche.

La partita tra Nottingham e Amburgo si preannuncia tatticamente complicata e molto equilibrata. Il genere di finali che si decidono con un episodio. Le regola del prima di tutto non prenderle prevale sistematicamente in questo tipo di situazioni. Dopo venti minuti, John Robertson, mezzala sinistra, grande calciatore e uomo dalle vicende familiari drammatiche e tormentate, raccoglie palla dal lato sinistro della trequarti. Dopo aver scambiato la palla con un compagno, lo scozzese si sistema il pallone sul destro e con un tiro velenoso e potente buca le mani del portiere tedesco Rudolf Kargus. Quel goal resterà l’unico della partita. il Nottingham Forest si aggiudica la Coppa dei Campioni e il calcio internazionale deve inchinarsi, ancora una volta, a Brian Clough, che riesce nell’impresa di bissare il successo della stagione precedente ottenuto in finale con il Malmö FF.