"[...] Presso la rete inviolata il portiere

- l’altro - è rimasto. Ma non la sua anima,

con la persona vi è rimasta sola.

La sua gioia si fa una capriola,

si fa baci che manda di lontano.

Della festa - egli dice - anch’io son parte".

Saba

Buffon, 2017 (getty)

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Non dobbiamo affrettarci a trovare un erede di Gigi Buffon

E non dobbiamo neanche elucubrare su quello che potrà essere il suo futuro, quando davvero deciderà di appendere i guantoni al chiodo. Energie sprecate. Forse non lo sa neanche lui. Probabilmente non ne hanno idea neanche alla Juventus, o in Nazionale. Già. Perché Gigi è uno di quelli che non smette. Non smetterà. Mai.

Perché Buffon, che oggi gira il mirabile traguardo dei 40 in campo - o quasi, visto che tornerà titolare solo martedi - , nelle ultime ore ha lasciato una porticina aperta. L'ennesima. E fa bene. 

Perchè al netto di qualche acciacco e del solito polpaccio che tira, lui è ancora Gigi Buffon. Ovvero, il più grande di tutti. Un gattaccio tra i pali, e un monumento in quanto a solidità mentale. Un leader dello spogliatoio e un'atleta ammirato e baciato dagli allori che una carriera fenomenale gli ha garantito. Una garanzia per la Juventus, e fino a pochi mesi fa anche per la Nazionale. E chi, come per Totti, individuava e individua nella sua presenza costante un limite per la crescita altrui, sa vivere solo di stereotipi e frasi fatte buone solo quando si arriva al quarto Negroni in sede d'aperitivo. 

La verità è che sinora la Nazionale e la Juventus uno pronto e migliore di lui, nonostante l'età, non l'hanno ancora trovato. 

Ecco perché, quando Gigi dirà basta, la Juventus dovrà sperare che Szczesny continui a garantire questi elevatissimi standard di rendimento, e tutti noi che Perin e Donnarumma siano all'altezza. Fortuna vuole che la fine della carriera di Buffon coincida anzitutto con un periodo storico in cui sono addirittura due le scelte che potremo permetterci, per rifondare una Nazionale a cui Gigi mancherà, eccome. E viceversa. Perché se è quasi certo che nel 2018 lui, il ragazzone di Carrara che è durato un ventennio con l'azzurro addosso, del nuovo ciclo della Nazionale non farà parte, non è detto che davvero a fine stagione a Torino si farà a meno di lui. 

E dire che sembrava certo, fino a qualche giorno fa. Poi lui è uscito allo scoperto, ed ha lasciato una porta aperta. Anzi, spalancata. Secondo qualche malelingua, addirittura mettendo in difficoltà la società. 

"Incontrerò presto il presidente Andrea Agnelli e ne parleremo. Voglio il bene della squadra, capire che tipo di vestito posso indossare, se la Juventus pensa che io possa essere ancora importante. Mi piacerebbe, ma la soluzione migliore va trovata con la società. Dobbiamo costruire assieme, se possibile, un percorso logico e condiviso. Certo è che non voglio diventare un problema né per la Juve né per i miei compagni. Questa sosta mi ha fatto bene, mi ha inviato un messaggio chiaro, mi ha costretto a pensare. Oggi sento dentro di me un desiderio di competere anomalo per la mia età. Non voglio passare per un vecchiaccio che mente persino a sé stesso per aggrapparsi con le unghie e i denti al suo monumento e alla pagnotta. In questa stagione ho fatto un'imperfezione contro l'Atalanta e un errore su punizione con la Spagna. Ho giocato partite da fenomeno, altre normali, altre ancora magari modeste, eppure la Fifa mi ha premiato come il miglior portiere del 2017. Mi sento come mi sentivo sei, sette anni fa".

E allora, dove sta la verità? 

Il momento più brutto (getty)

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Sta, semplicemente, nelle sue parole. Che sono quelle di un uomo, più che quelle di un calciatore, perfettamente consapevole dei suoi mezzi e dei suoi limiti. Così come anche della condizione del suo vice alla Juventus, nel fiore degli anni e del rendimento, che legittimamente ambisce ad un ruolo più centrale. Ed a cui, la scorsa estate, era stato promesso un anno da subalterno e poi la porta solo per sé. Ma le cose, da allora a oggi, sono cambiate.

Anzitutto perché la delusione derivata dal crollo azzurro contro il muro svedese è stata inarrivabile. Il doppio impatto contro Byron Moreno del 2002, il biscotto del 2004, la devastante Spagna del 2008 e del 2012, le delusioni mondiali del 2010 e del 2014, hanno fatto tutte meno male. Forse anche meno delle finali di Champions inabissatesi sotto la maledizione del suo destino. Già, la Champions. Quel traguardo inarrivabile, nonostante un ventennio intero sulla cresta dell'onda, che ora Gigi continua a sognare. Insieme ad un altro primato, ovviamente più facile da raggiungere: quello delle presenze in Serie A.

647 quelle dell'amico ed ex compagno Maldini; 629 le sue. Gliene mancano 18: troppe, per mettere a bilancio anche questo record, durante la stagione in corso. Motivo in più per chiedere alla società ancora un anno di contratto. In cui probabilmente gli verrà chiesto di fare da secondo, non per motivi legati al suo rendimento, ma più che altro per non perdere Szczesny. 

Una condizione che un uomo di calcio, di sport e di Juventus come Buffon non potrà non accettare. Soprattutto per raggiungere un primato che oggettivamente merita, dopo quello, inarrivabile, legato al record in Nazionale. Per questo, probabilmente, il giochino nostalgico del #quandoGiginongiocheràpiù dovremo rimandarlo ancora. 

E saremo tutti felici di concederci questa deroga. 

Le fisiologiche ansie da ritiro, d'altra parte, vanno di pari passo con la consapevolezza. E l'indeterminatezza di una Federazione che ancora deve interamente rifondarsi, a partire dai vertici, non può garantirgli in alcun modo il ruolo che merita. Il patrimonio umano e professionale che un Gigi Buffon non più calciatore potrà garantire, d'altra parte, è inestimabile per essere limitato - si fa per dire - alla sola Juventus. Ci sono tantissimi ruoli, addirittura quello di tecnico, in futuro, che potrebbe garantire a livello federale e che non vanno assolutamente sprecati. Ma per un Gigi in tuta, o in giacca e cravatta, c'è ancora tempo. 

Almeno un anno, se accetterà, per la prima volta dal 1995, di fare da dodicesimo. 

Anche un po' più distante dalla rete inviolata, d'altra parte, della festa sarà sempre meritevole d'esser parte.