Del fatto che Quagliarella fosse un grande attaccante, non v'era dubbio alcuno. Ed, a dirla tutta, non c'era neanche bisogno di attendere che arrivasse a sfiorare i 36 anni, per dirlo a gran voce, e senza possibilità di essere smentiti.

Volendo applicare alle sue gesta la ormai inflazionatissima #TenYearsChallenge, però, probabilmente molti direbbero il contrario. Già. Perché Fabio Quagliarella a 26 anni era un ragazzo nel fiore degli anni, esploso a Genova, confermatosi a Udine, e pronto a spiccare il salto in una squadra più grande e ambiziosa. Il Napoli, il suo Napoli, da dove il fato e una storiaccia irripetibile l'hanno prematuramente, e ingiustamente, allontanato.

Eppure era un calciatore diverso, Fabione, dieci anni fa. Ovvero, quando ancora faticava a imporre una dote che oggi, paradossalmente, ha scoperto di avere: la continuità.

Che poi, cos'è, se non un mix perfetto ed elaborato di tutta una serie di altre, imprescindibili, virtù dei campioni, quali la concentrazione, il carattere e l'integrità fisica. Tutte qualità che, sinora ai 30 anni, ha sì mostrato di avere, ma mai sino a fondo.

D'altro canto, il Quagliarella che ha giocato la sua ultima partita in Nazionale, oltre 8 anni fa, era un altro Quagliarella. Anzitutto, non era una prima punta, né sotto il profilo meramente tecnico-tattico, né tanto meno a livello di prolificità. In secundis, era più svagato e legato all'estemporaneità: e non mi riferisco a quella dei suoi proverbiali colpi e giocate al limite dell'improbabile. Quelle ce le ha sempre avute, e le ha anche, sapientemente, dosate: non è un caso se il Quaglia, pur avendo già cambiato otto casacche - Samp due volte, Torino addirittura tre - è considerato un po' un rimpianto per diverse delle sue squadre precedenti.

Ora, l'obiettivo è non farlo diventare tale anche per la Nazionale. Mancini, questo, lo sa bene, e non a caso sabato era a Genova per guardarlo da vicino. E, probabilmente, anche per premiarlo. E di motivi per farlo, in verità, ce ne sono diversi.

Anzitutto perché la carriera da calciatore proprio dell'attuale CT ebbe una parabola simile: parliamo dell'evoluzione di due calciatori diversi, anche come collocazione tattica, ma capaci entrambi di tirare fuori dal cilindro colpi più unici che rari.

Anche il Mancio, però, fu una straordinaria promessa in gioventù, e un ottimo calciatore all'apice. Ma, soprattutto, un attaccante maturo, e assai più costante, superati gli -enta. Insomma, nel Quaglia, Mancini, che proprio come lui in azzurro ebbe pochissime occasioni (e non seppe sfruttarle a fondo), potrebbe anche in qualche misura rivedersi. Lo jesino, in ogni caso, aveva già detto la sua: se arriverà in prossimità di Euro 2020 in queste condizioni, non si potrà non prenderlo in condizione. Il problema è che l'Europeo è tra 18 mesi, e Quagliarella è un giocatore della Madonna adesso. 

E, sempre adesso, è nettamente superiore, sia in quanto a capacità realizzativa, sia in quanto a leadership caratteriale e qualità tecniche, anche ai vari Belotti, Immobile, Cutrone e Balotelli. Ovvero, coloro che si sono divisi il ruolo di centravanti azzurri del recente passato, che non riescono a imporsi nel presente, ma che sperano, legittimamente, di tornare di moda nell'immediato futuro. Al di là di quanto possa ancora durare un Quagliarella così, oggi è lui il miglior centravanti (atipico) italiano. Ed, in quanto tale, deve essere il titolare della Nazionale. Se l'Italia ha giocato le ultime uscite ufficiali addirittura senza centravanti, per mancanza di alternative di livello, ed i candidati faticano a tornare agli standard pretesi dal CT, è giusto battere altre strade. 

Strade che peraltro si intersecano a meraviglia con quello che è oggi il modo di fare calcio della squadra di Mancini. Una squadra messa in campo - ed anche con discreto successo - con un anomalo 4-3-3 in cui Bernardeschi agiva da finto nove: un ruolo che Quagliarella, per esperienza e innata capacità di far giocare bene anche i suoi compagni di reparto (chiedetelo a Ramirez, Defrel, Gabbiadini e Saponara), potrebbe fare altrettanto bene, garantendo però maggiore profondità.

Assecondiamo, insomma, i segnali che arrivano dal campionato. Assecondiamoli tutti, anche quelli apparentemente estemporanei. Così come estemporanee, dieci anni fa, erano le giocate di Fabio Quagliarella. E che oggi, a fotografare una vera #TenYearsChallenge, non sono più solo delle chicche da selezionare in una raccolta di skills su YouTube, ma sono delle gemme incastonate in un cammino altrettanto fecondo e immaginifico. 

Chissà, magari anche (ri)tinteggiato d'azzurro. Per il bene suo e della Nazionale.