L'ultima volta che parlai di Roma, in questo spazio, risale a un mese e mezzo fa. Prima della sosta di Ottobre la squadra veniva da ben 4 vittorie di fila tra Europa e campionato, aveva subito un solo gol in 4 partite (peraltro nel derby), e sembrava aver superato i suoi problemi di inizio stagione.

Eppure qualcosa non mi convinceva. La sensazione che i sacrifici di Alisson, Strootman e Nainggolan potessero a medio-lungo termine pesare più del previsto era tangibile, come l'impressione che l'acquisto più roboante della sessione estiva - Javier Pastore - fosse superfluo, o quanto meno di difficile gestione. E non solo per motivi tecnico-tattici.

Da allora il Flaco ha giocato solo 12', opachi, contro la Spal. Per il resto, solo panchina e tribuna, per via dei soliti, arcinoti, problemi al polpaccio che il fantasista argentino si porta dietro sin da un paio di stagioni or sono, all'epoca del PSG. E meno male che, nell'inedita posizione di 'finto 10', Di Francesco ha azzardato, e così avuto modo di scoprire un Pellegrini inaspettatamente a suo agio, pur a scapito del depotenziamento di Cristante, ormai utilizzato da vice De Rossi, in un ruolo che evidentemente faticava a fare a inizio carriera, e che gli sta stretto adesso, che è un calciatore fatto, finito, e nuovamente fuori ruolo.

Peccato, peccato davvero. Non l'unico neo che per il momento DiFra s'è tinto addosso. Perché la sua gestione della rosa, quest'anno, a conti fatti sta penalizzando un po' tutti (escluso El Shaarawy, che ha finalmente tirato fuori la personalità e la continuità che gli è mancata, nell'ultimo lustro). Dzeko ha smesso di far gol, ma contestualmente Schick, pur sbloccatosi, non è sbocciato; Olsen garanzie non ne ha mai dato; Manolas e Fazio faticano, e non hanno in Marcano e Jesus delle alternative valide; Santon ha avuto molte chances ma, vedi Udine, continua a fallirle; Karsdorp doveva essere rilanciato e invece ha quasi rotto con l'ambiente e potrebbe andar via a gennaio.

E poi ci sono i giovani, la cui crescita s'è pericolosamente arrestata - vedi Under, Pellegrini e Kluivert - o non è mai neanche iniziata - vedi Bianda, Coric e Zaniolo.

Infine, arrivano i risultati. E la classifica, che non recita nulla di buono se non per il girone di Champions che, in sostanza, per ora tiene a galla il tecnico, che quanto meno ha fatto il suo in Europa. Della graduatoria in campionato evitiamo anche di parlarne, visto che si parlerebbe, ad oggi, di sostanziale e clamorosa zona no-Euro.

Un margine che la Roma a breve colmerà, ma solo se imparerà dai suoi errori. Cosa che sinora non ha fatto: perché 4 sconfitte in 13 partite sono tante, anzi troppe. A maggior ragione se si considera che 3 di esse (Spal, Udinese e Bologna) erano difficilmente preventivabili, e che prima della fine del girone questi ragazzi devono ancora vedersela con la pazza Inter di Spalletti e contro la Juve a Torino. 

Le colpe, come spesso accade, nel calcio, sono equamente suddivise tra società, calciatori e allenatori, anche se a farne le spese poi, a stagione in corso, è sempre una sola delle tre parti. Il problema è che al momento Di Francesco, pur essendo un allenatore giovane e lungimirante, fatica tanto a sperimentare, quanto a rivoluzionare e ideare nuove soluzioni. Che eppure sono quelle che servirebbero, ad una rosa che pur essendo ancora ad un terzo di stagione pare già spremuta (e parzialmente lo sarebbe anche, considerato che quasi tutti i giallorossi sono Nazionali) soprattutto psicologicamente: e il sintomo più evidente sta nella totale mancanza di reattività, oltre che di reazione, al Dacia, dove un Udinese appena rimessa in piedi da Nicola, pur giocando senza punte, ha fatto pochissima fatica a penetrare una fase difensiva che sembrava burro abbandonato nel microonde alla massima potenza.  

Per ridare nuova linfa e carattere a questa squadra servirà subito ritrovare la concretezza di Dzeko, oltre che i piedi buoni di Pastore e Perotti. E, magari, pensare finalmente ad un'alternativa tattica al 4-3-3 travestito da 4-2-3-1. Magari identificabile in una sorta di 4-3-2-1 da utilizzare per far rifiatare le tre ali pure (Kluivert, El Shaarawy e Under, forse talvolta e più utili da subentranti), con i due argentini a rifornire il centravanti. Rimettendo così Pellegrini e Cristante a fare le mezzali di inserimento, anche a costo di sacrificare uno tra De Rossi e Nzonzi. Uno spunto, nulla di più, per il momento, visto che né Perotti né Pastore saranno contemporaneamente a disposizione, ed al meglio, prima del 2019. E sino ad allora servirà continuare a fare di necessità virtù. E stringere i denti, iniziando dalla sfida contro il Real Madrid, che in caso di sconfitta (e contestuale vittoria del Plzen) riaprirebbe seppur solo teoricamente i giochi. Un rischio che questa squadra non può neanche permettersi di correre e che siamo certi non correrà. Perché i valori medi della rosa restano mediamente alti, così come elevate sono anche le personalità che la compongono. E che aspettano solo il momento giusto per spiccare il volo. 

Questo Di Francesco lo sa, ma non deve tirare troppo la corda, che - ricordiamocelo - da sola non basta mai per impiccare un allenatore qualunque. Figuriamoci Di Francesco, che lo scorso anno è riuscito a incidere nella storia il miglior risultato di sempre della Roma dopo la finale di Coppa Campioni del 1984.