Vedere il Mondiale sul divano, senza mal alzarsi dal divano, né per esultare né tanto meno per urlare la propria rabbia, è davvero un'esperienza metafisica. Non c'è pre-partita, partita, salotto TV o commento tecnico che io riesca a guardare con trasporto. Ha tutto un agrodolce sapore patinato e documentaristico, che rende l'atmosfera quasi surreale. Niente birre in bilico sul tavolino, niente frammenti di patatine a rendere imbarazzante il pavimento, né infradito a calpestare le suddette briciole, e neanche tanti chissenefrega se si sporca a terra perché intanto gioca la Nazionale. I miei pianti e rimpianti per la nostra mancata partecipazione, in ogni caso, li ho già riversati su queste pagine più e più volte, quindi non ho intenzione di annacquare anche queste giornate, in cui giustamente ogni calciofilo riesce comunque a tenere alta la propria asticella dell'attenzione: perché dove c'è un pallone che rotola, a maggior ragione se chi lo fa girovagare sul prato sono i migliori campioni del globo terracqueo, la passione viene spontanea.

E non è un caso se questi, anche per noi italiani, sono i giorni dei crucci di Messi, degli osanna a Ronaldo, dell'ammirazione per Kroos, Coutinho, Modric e Lukaku, delle ormai consuete rivelazioni della kermesse e della constatazione di quanto il Belgio sia ormai pronto per giocarsela fino in fondo. Quindi, andiamo per ordine.

Zoom sugli appunti di Sampaoli in allenamento. Si cambia (getty)

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Sampaoli, questo è inevitabile, ha fallito. E' riuscito a qualificarsi per il rotto della cuffia, non ha convocato Icardi (e questo non gli verrà mai perdonato) che oggi è il miglior centravanti argentino in circolazione, né è riuscito a far convivere, in un attacco che oggettivamente - anche senza il capocannoniere della Serie A - è il migliore del Mondiale, i tanti fenomeni che ha disposizione. Nell'ultima partita, quella che ha sancito il predominio tecnico e psicologico della Croazia, in panchina c'erano calciatori abituati a giocare a certi livelli come Fazio, Higuain, Dybala, Biglia e Di Maria. In campo, gente come Meza, Acuna, Perez e Caballero. Quest'ultimo, peraltro, autore di una boiata che solo la Gialappa's ha descritto a dovere, e preferito a Romero solo perché a inizio giugno l'ex portiere di Samp e United doveva fare un microintervento al ginocchio. Che, in ogni caso, nel peggiore dei casi gli avrebbe fatto saltare l'esordio contro l'Islanda. Senza il suo miglior centravanti, quindi, e anche senza portiere: perché se di Caballero il suo stesso ex allenatore, Mourinho, aveva una stima pari a zero ("Mettere me o lui in porta è la stessa cosa"), in campo l'argentino ha mostrato di avere dei limiti oggettivi. E adesso chiunque verrà scelto come suo sostituto, nella decisiva partita contro la Nigeria, avrà un carico di responsabilità che la propria esperienza (praticamente nulla, in albiceleste) difficilmente gli consentirà di reggere: la fiducia, in ogni caso, dovrebbe essere riposta nell'esordiente Franco Armani del River Plate, in vantaggio su Nahuel Guzman del Tigres. Oltre, che, ovviamente, in Leo Messi. Un ectoplasma nei primi 180', silenzioso ed agitato come non mai, depresso come non l'abbiamo mai visto, ma inevitabilmente anche l'unico in grado di salvare l'Argentina da una situazione che definire drammatica è riduttivo. Personalmente, in ogni caso, continuo a fidarmi della Pulce. Detto questo, anche un'ultima partita da fenomeno qual è potrebbe non bastare. Perché il meccanismo matematico della terza giornata dei gironi Mondiali è storicamente infido e bastardo, e i rischio biscotti - noi lo sappiamo bene - sempre dietro l'angolo. Se addio alla Russia anticipato sarà, in ogni caso, le colpe in Argentina andrebbero equamente suddivise tra tecnico, calciatori e uomo più rappresentativo. Perché di miracoli viventi che vincono da soli le partite non ne esistono più da trent'anni. E questo lo sa anche Leo, che continua a scendere in campo a pochi metri di distanza dagli occhi di quel miracolo vivente.

Luka Modric, il 10 per definizione (getty)

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Ieri a metà primo tempo della sfida tra Germania e Svezia la situazione era questa: prima e seconda del Mondiale 2014 fuori da Russia 2018; terza classificata (l'Olanda) fuori già alle qualificazioni, la quarta (Brasile) salvata per il rotto della cuffia dalle giocate insistite dei suoi fenomeni (e oltre a Coutinho e Neymar è giusto anche metterci Douglas Costa, lo ripeto da mesi: lui, però, nella terza partita non ci sarà per infortunio). I cicli storici esistono, vero, ma nelle manifestazioni a eliminazione sono i dettagli, il caso, il VAR, le giocate, gli infortuni, la condizione e il talento dei singoli a fare la differenza. La Croazia, ad esempio, è a fine ciclo, ma sta giocando questo torneo come meglio non potrebbe perché in rosa ha il miglior Luka Modric di sempre. Che fosse un giocatore spaziale lo si intuiva già dai tempi del Tottenham, ma che riuscisse a non far rimpiangere Boban era difficile da pronosticare. Così come per Messi, uno dei unici limiti sinora era stato la determinazione e la convinzione nei propri mezzi. Entrambe spazzate via, nel momento in cui s'è ritrovato ad abbattere ogni residua speme albiceleste, con questa giocata. Emblema di tempesta e impeto perfetti. Le stesse con cui Cristiano s'è opposto a Spagna a Marocco.

A (ri)vederlo dalla curva è quasi meglio

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Dal rendimento suo, dello stesso Ronaldo e di Toni Kroos in Russia è facile intuire i motivi dello strapotere del Real Madrid in ambito continentale.

La Germania è sempre la Germania, lo sa benissimo il buon Lineker, che per l'occasione ha riciclato un suo vecchio adagio che non passa mai di moda. 

Che stia facendo fatica, però, non era pronosticabile. Anche perché la Svezia, che per poco non riusciva a buttare fuori i campioni uscenti, ha avuto anche una buona dose di fortuna nel non farsi perforare. Così come tanta, di fortuna, ne ha avuto anche la Germania a cui non è stato fischiato un rigore contro in avvio per un fallo (peraltro da rosso) di Boateng. Insomma, è stato il caso a tenere in bilico la partita sinora più decisiva del gruppo F, almeno sino al 94'. Quando in cattedra è salito il migliore regista basso del Mondo (e del Mondiale). Con la propria squadra virtualmente estromessa, a una decina di secondi dalla fine del recupero, e da quella posizione defilatissima, solo quelli con due palle così, metaforicamente fumanti, possono decidere di calciare direttamente in porta dopo un tocco corto. Più che l'esecuzione, magistrale, vale il coraggio: e Toni, che della Germania sembra essere l'unico, vero, fenomeno, ne ha sempre avuto a bizzeffe, in carriera. Sturm und drang, tempesta e impeto, servono tutte e due in questi casi. Oltre che, ovviamente, un pizzico del suddetto culo che non traduciamo in teutonico per pudicizia.

Ed è anche giusto che chi ha in rosa giocatori come lui vada avanti, per rendere la fase a eliminazione diretta ancora più affascinante, e chi si difende con le unghie e con i denti per decine di partita di fila - spareggi compresi - vada a casa. Detto questo, anch'io ero tra coloro che ieri sera, davanti alla Tv, tifavano per l'arbitro. Che, peraltro, ha pure perso.

Toni Kroos atto I (getty)

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Toni Kroos atto II (getty)

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Alla ristretta cerchia di chi agita i popolo con il proprio impeto, e seminando tempesta, mancano ormai solo Russia, Spagna, Francia e Belgio. Oltre che il Messico, che però nonostante i sei punti pare avere evidenti limiti strutturali. Discorso che vale anche per i padroni di casa, che si sono ritrovati in uno dei gironi più abbordabili essendo teste di serie, e che a sensazione si scioglieranno appena il gioco si farà un po' più duro. E se le riserve in merito a Francia e Spagna sostanzialmente non esistono, è ancora più affascinante, a mio parere, riporre estrema fiducia nel Belgio che si permette il lusso di lasciare a casa Nainggolan (che domani fa le visite mediche all'Inter). Ecco, potrebbe esser questo l'unico motivo che ci induce a non sostenere una Nazionale che pare possa addirittura raccogliere l'eredità fascinosa dell'Olanda, in quanto a espressione calcistica di tecnica mista a tattica pura e raffinata, ma in cui le singolarità rendono il tutto straordinariamente empatico e redditizio. Vedere Mertens e Hazard supportare un gigante d'area come Lukaku non può non appassionare anche il più disincantato dei pallonari, anche se per loro, che contro la Tunisia sono stati davvero espressione morbida ma perfetta di tempesta e impeto, non esiste una traduzione univoca - le altre nel titolo ovviamente le ho fatte con google translate - , visto che in Belgio, oltre che olandese, tedesco e francese si parlano pure diverse lingue non ufficiali. Ciò che conta, in ogni caso, è che anche se detto in più lingue, lo si intraveda in campo. E la squadra di Martínez, al termine di un percorso di crescita iniziato subito dopo la mancata qualificazione a Euro 2012, sembra pronto per fare la voce grossa. Probabilmente anche più grossa di molte altre, che in rosa hanno sì dei fenomeni, ma che sia la tempesta che l'impeto riescono a esprimerla solo nelle singolarità, e non di squadra.