E dire che il fenomeno, quello vero - ma con la 'f' minuscola, attenzione -, quello arrivato per fare tutta la differenza del mondo, era e doveva essere l'altro.

Chi? Quello lì? Il croato? Utile. Si sacrifica, corre, aiuta la squadra. E che cuore, ahhhhh. Il giocatore che tutti gli allenatori (Allegri in primis) vorrebbero.

Però, i gol, quelli pesanti. Servono i gol, per vincere le partite difficili, quelle contro le grandi.

Facile farli al Sassuolo, al Frosinone, all'Udinese, all'Empoli, al Genoa o alla Spal.

Valli a fare a Inter, Milan, Roma, Lazio e Napoli, vatti a guadagnare il rigore decisivo nel derby, vai a fare il gol qualificazione in Champions. Ah, no, per queste cose ci vuole CR7.

Per il resto, per i gol facili-facili, bastavano anche i Llorente, Anelka, Matri, Vucinic e Morata. E i Mandzukic.

Oppure no?

Ha detto no.

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Eh, già. Non è proprio così, nel mondo reale. Quello in cui Mario si porta sulle spalle - palleggiando, col sorrisetto stampato in faccia - i macigni, mentre (almeno per adesso) Cristiano gioca a scassaquindici con gli altri bambini.  

Non per sminuire il valore, né assoluto, né relativo, del millemila volte pallone d'oro, per carità, ma per suffragare la tesi della commistione delle due identità (e delle due responsabilità) serve per forza rifarsi ai centri che loro, i due centravanti della Juventus, sinora hanno messo a segno.

12 (3 dei quali su rigore) per CR7, 9 per MM17: cosa cambia? Beh, che quelli del secondo, oltre che essere per buona parte realizzati con la specialità della casa - l'inserimento e lo stacco di testa partendo dal secondo palo - hanno tutti un peso specifico immane, rispetto a quelli del compagno di reparto. Che pur facendo (tanti) gol decisivi, sinora è riuscito a farli quasi solo ed esclusivamente contro avversarie non proprio alla sua altezza. All'altezza di sua maestà, l'uomo della Champions e dei tappeti rossi. Anche se in Champions, in realtà, per ora di rosso ci ha fatto vedere tutt'altro. 

Nulla di grave, per carità. Anzi. L'impressione e la speranza, per il felice prosieguo del cammino delle italiane - Juve in testa - in Europa, è che il ragazzone di Funchal stia tenendo in caldo le sue, di specialità, per i momenti in cui saranno più attese e necessarie, ovvero da febbraio in poi. Quando, lì dove questa squadra si giocherà il suo unico, vero, obiettivo stagionale, sarà questione di dentro-o-fuori.

E non è un caso, forse, se il signor Ronaldo Cristiano, contro l'Atletico Madrid, ha già messo a segno qualcosa come 22 gol e 8 assist in 29 partite.

'Datele a me'.

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Nel frattempo, 'Datele a me, le responsabilità', sembra dire Marione. Uno che a parte l'età, non sente per nulla neanche il peso di quelle responsabilità che sinora doveva prendersi Cristiano, tant'è che i suddetti macigni sono tutta roba sua. Macigni come quello che ha scaraventato alle spalle di uno stoico Olsen con la zucca, sotterrando con le sue lunghe leve e il fisico asciutto ma adamantino il colpevole Santon.

Ironia della sorte, quest'ultimo autore di una partita impeccabile quando s'è ritrovato, sulla corsia di competenza, a fronteggiare proprio Ronaldo - chi si ricorda della volta in cui si incontrarono, assai più giovini, uno in maglia Inter e l'altro in maglia United? - che stasera in fascia certo non ha fatto bellissima figura.

Anche lui, però, il ragazzino glabro col ciuffo ribelle da giovane promessa del calcio, che 10 anni fa riuscì a contenere uno così, e che dopo così tanto tempo è riuscito a ripetersi, nulla ha potuto contro Mandzukic. Mario? No, Cristiano Mandzukic. 

Perché Mario Ronaldo non poteva venire. 

E alle volte il bello del calcio è proprio questo. 

Però non lo dite a chi a fine mesi firma gli stipendi in casa Juventus Football Club.